Corridoi umanitari, sono davvero una soluzione?

Sono giunti a Fiumicino con un corridoio umanitario dal Pakistan 152 cittadini afghani in attesa da agosto del 2021 di fuggire dal regime talebano. Una bellissima accoglienza in un clima di festa animato da bambini sorridenti e finalmente liberi
Corridoi umanitari foto Paolo Cerino

L’arrivo di tante persone grazie a un corridoio umanitario è sempre occasione di festa, di incontro, di congratulazioni e complimenti sia per chi ha portato a mèta l’impresa sia per chi è partito lasciando dietro le spalle un mondo che – noi italiani – nemmeno immaginiamo.

Chi arriva non ha nessuna idea di cosa troverà, ogni spiegazione che possiamo fare per descrivere l’Italia si disperde tra i mille pensieri di un lungo volo aereo. Il corridoio umanitario è una bella invenzione: consente di giungere in Italia in assoluta sicurezza e in modo legale a persone che sono a rischio nei loro Paesi di origine, nei quali non possono ricevere né assistenza né protezione.

La macchina organizzativa è molto complessa: accordi tra Ministeri e organizzazioni private, intese con i Paesi di transito dei profughi, ricerca dei fondi, verifica delle persone che si occuperanno dell’accoglienza in Italia a lungo termine, individuazione di coloro che partiranno: le richieste sono davvero molte ed è difficilissimo decidere chi prendere e chi lasciare sempre sperando che possa esserci un altro volo. Che purtroppo potrebbe anche non realizzarsi mai.

Ma va anche ribadito che il corridoio umanitario è il segno inequivocabile di uno Stato che non vuole accogliere, che sempre più carica sulle spalle dell’iniziativa e del finanziamento privato i lunghi e difficili percorsi di integrazione dei profughi, che non sa darsi politiche serie e di lunga durata per l’arrivo legale e sicuro di chi vuole venire in Italia.

È anche il tentativo di sperimentare in Italia il modello di ingresso delle persone grazie allo sponsor privato che esonera lo Stato da responsabilità per la gestione dei migranti (se così si può dire parlando di persone) e dai costi di accoglienza (ma i soldi non mancano).

Eppure l’Italia il suo modello di accoglienza ce l’ha – il S.A.I. – ma non è valorizzato e purtroppo è lasciato ancora alla libera adesione degli Enti locali. Invece un centro di accoglienza con poche persone (quindi facilmente gestibile) dovrebbe rientrare nei paesaggi di ogni paese e di ogni quartiere delle grandi città: al pari dell’asilo, del consultorio familiare, degli ambulatori dell’azienda sanitaria.

È certamente più facile ripetere slogan del tipo «chiudiamo i porti, arrivano tutti in Italia, sono troppi, prima gli italiani» anziché attivare politiche a lungo termine a partire dai nostri principi costituzionali, da dati certi e dal confronto con le esperienze di accoglienza governativa in altri Paesi in Europa e nel mondo. E valorizzando la specificità italiana.

Abbiamo molta strada da fare e cercheremo di approfondire questi temi sulle nostre pagine. Per oggi ringraziamo quanti si sono prodigati per far giungere a Fiumicino 152 persone, di cui oltre la metà bambini: Caritas Italiana, S. Egidio, ARCI e la Confederazione delle Chiese Evangeliche in Italia. Oltre OIM, Ministero dell’Interno e Ministero per gli Affari Esteri e la Cooperazione Internazionale.

E i nostri migliori auguri a coloro che sono arrivati e che consegnando alla polizia di frontiera il loro passaporto – gesto dolorosissimo – hanno scelto di rimanere in Italia anche per aiutarci a farla più bella e accogliente.

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