A firma di Serenella Sharry Silvi esce oggi in libreria “Ti ho chiamato per nome”. Il racconto autobiografico di una delle protagoniste dei primi tempi del Movimento dei Focolari. Per i lettori di Città Nuova in anteprima la prefazione di Donato Falmi.
Serenella Sharry Silvi, l’autobiografia.
Ti ho chiamato per nome prima ancora che mi conoscessi. Io sono il Signore». Così nel Libro biblico di Isaia Dio dichiara che il Suo amore è per sempre e da sempre. Un amore personale, gratuito, sovrabbondante per il quale vivere e spendere la propria vita. È il versetto che ispira a Serenella Sharry Silvi il titolo della sua autobiografia in uscita oggi per i tipi di Città Nuova e che ben rappresenta il filo d’oro che attraversa la sua storia….
Una vita per la fraternità universale.
Ma chi è Serenella Sharry Silvi? Nel libro l’autrice si racconta: l’infanzia con il soggiorno nella campagna piemontese dalla nonna durante la Seconda guerra mondiale; l’adolescenza e la giovinezza a Roma irrequiete e ribelli, alla ricerca di un senso da dare alla sua vita. Irrefrenabile in lei il desiderio della libertà, di una vita fuori dagli schemi rassicuranti di una esistenza borghese e convenzionale. Dopo l’università, il lavoro per il Consolato americano, prima a Trieste, poi a Salisburgo, quindi a Belgrado. Tanti gli incontri e gli episodi nei quali progressivamente Dio “si fa conoscere”.
Serenella Sharry Silvi incontra Chiara Lubich.
Nel 1959 a Fiera di Primiero sulle Dolomiti partecipa ad una Mariapoli, un appuntamento del Movimento dei Focolari. È l’incontro, folgorante e luminoso, con la spiritualità dell’unità di Chiara Lubich. Ed è la svolta. Finalmente Serenella Silvi “trova”. È Dio l’ideale per il quale spendere tutta se stessa. E Dio “la chiama per nome” ad una vita interamente vissuta per Lui. Semplice e straordinaria. È l’inizio di una nuova avventura che la porterà negli Stati Uniti per far conoscere la nascente spiritualità. Una storia che l’Autrice racconta, non per narcisismo ma con l’intento di farne un dono a quanti la leggeranno, come sottolinea Donato Falmi nella prefazione. E’ possibile leggere la prefazione in anteprima, qui di seguito.
L’autobiografia è forse uno dei generi letterari più difficili. Non deve “inventare” nulla, essere oggettiva mentre percorre le strade di un racconto per definizione totalmente “soggettivo”. Si direbbe un lungo monologo che cerca di farsi ascoltare, interpretando “a distanza” la capacità di ascolto dell’“altro” (il lettore) con cui intende a tutti i costi mettersi in dialogo. In questo differisce dal classico “diario”. Anche queste pagine sono frutto di un “raccontarsi”, non filosofico e meno che meno narcisistico: al mio sguardo di comune lettore, vogliono essere un “dono”. Così come lo è l’esistenza che vi è contenuta. Un dono, direi, “dovuto” perché sotto sotto scorre un profondo sentimento di gratitudine, di cui l’autrice non fa mistero.
Il racconto, pur declinato in chiave personale, va però ben oltre il mondo interiore dell’autrice e coinvolge centinaia di persone che lei ha avuto l’avventura di incontrare, in un’area geografico-culturale sempre più vasta: Italia, Europa, Nord America… Alcune di queste conoscenze sono state determinanti per la sua vita al punto di imprimerle un “nuovo corso”, come quella fondamentale con Chiara Lubich; per altre è stata lei a lasciare una traccia indelebile nel loro percorso esistenziale. Grazie a questi incontri, diventa protagonista e testimone, insieme ad altri, di un grande progetto spirituale, umano e sociale, ancorato nella spiritualità dell’unità, che mette le sue radici nella multiforme e dinamica realtà americana. La matrice di questa avventura è certamente spirituale, ma nella realtà umana concreta è di fatto impossibile separare questa dimensione da quella culturale e sociale. Tanto più se questo vissuto, che ha una forte valenza comunitaria, chiama in causa diversi ambiti professionali, istituzioni internazionali, coinvolge migliaia di persone di molte Chiese cristiane e si propaga nel più vasto orizzonte delle altre religioni, in particolare di quella ebraica e di quella musulmana.
Perché anche di queste vicende si tratta. Il racconto, senza la presunzione di dire tutto, si propone come sguardo lucido e attento, appassionato e coinvolgente di questa esperienza. L’autrice non è una storica nel senso tecnico-scientifico del termine e non intende offrirci un saggio storico, ma vuole condividere un documento vivo e “di parte”, nell’accezione migliore del termine, che riporta in presa diretta e in rapida successione ciò che “è accaduto” in un certo momento e in un certo luogo; si produce in questo modo una narrazione di cui anche lo storico non può fare a meno.
La lettura di questo testo mi ha profondamente coinvolto e ha suscitato in me un forte senso di gratitudine, poiché mi sono ampiamente ritrovato nei valori e nelle ispirazioni ideali che hanno dato vita a quanto vi è narrato. Ma tra le molte cose di cui sono grato all’autrice, vorrei sottolinearne una: nessuno di noi desidera essere la fotocopia di qualcun altro. Vogliamo trovare “ciò che risponde al più profondo bisogno di essere noi stessi” e al tempo stesso poterlo vivere come relazione positiva con gli altri. Trovo in queste pagine una testimonianza, incoraggiante, che questo è possibile, anche se costa, a volte, anni di sofferta ricerca e di insoddisfazione. Ma Gesù nel Vangelo lo dice chiaramente: «Chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto». Questa conquista dell’essere se stessi e cioè del realizzare il “disegno d’amore” che Dio ha su di noi va di pari passo con il valore immenso della libertà, insopprimibile aspirazione di ogni cuore umano. Credo che la forte esperienza personale della libertà abbia favorito l’autrice di queste pagine nel cogliere in profondità la cultura e l’anima delle persone del Nuovo Mondo con cui ha condiviso l’avventura dell’unità, appresa da Chiara Lubich.
Si legge, infatti, tra le righe quanto lei “si senta a casa” in questa società che dista migliaia di km dalla sua città di origine, e non si tratta solo di distanza geografica. E si può capire meglio come lei abbia potuto dare un contributo importante per far “sentire a casa” nella spiritualità e cultura dell’unità le moltissime persone incontrate nel continente americano, e sia riuscita a valorizzare la positività e potenzialità della loro cultura.
Donato Falmi
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