Correggio e Parmigianino, l’amore per la vita
A Parma nei primi decenni del Cinquecento è rivoluzione. Un rinascimento diverso da quelli di Ferrara e Bologna, Venezia e Milano, Firenze, Roma e Napoli. A Parma si sente certo l’eco di Mantegna a Mantova, di Leonardo a Milano, di Raffaello e Michelangelo in Vaticano, ma lo si ricrea con una vitalità del tutto originale.
Antonio Allegri da Correggio ha visto tutto ed ora decora l’irruenza dei bambini nella Camera della Badessa parmense e ancora in città vola tra gli angeli sgambettanti e gli apostoli entusiasti nelle Cupole del Duomo e di San Giovanni Evangelista, così vorticose da aprire la porta alle fantasie barocche.
Nella terra bassa di nebbie velate, estati folgoranti, di amore per l’esistenza in tutti i suoi aspetti, fisici e spirituali, Correggio dà vita ad un universo poetico tutto e solo suo, dominato da una palpitante e mai perduta gioia di vivere.
Ne offre una straordinaria immagine la rassegna romana di opere, una più accattivante dell’altra, a seguire il percorso di un genio sempre ottimista, pittore dei teneri sensi, che pare non accorgersi dei drammi del suo tempo, Sacco di Roma compreso, morendo ancora giovane nel 1534.
Ecco allora le Madonne soffuse di umana tenerezza, come quella della Galleria Estense (Modena), il picnic del Riposo in Egitto con san Francesco (Firenze, Uffizi) dove la sacra famiglia si riposa dalla calura tra le frasche mentre un giovane san Francesco adora. Ecco il Noli me tangere del Prado, che ricorda certo il Tiziano di Londra, ma si dilunga nella poesia di un paesaggio aereo velato di umidità primaverile.
Oltre alla tenerezza, il pathos, l’elegia religiosa: il Martirio di quattro santi (Parma, Galleria Nazionale), dai corpi flessuosi, gli sguardi estatici, i colori morbidi, di cui tanto si ricorderà un Guido Reni, il Commiato di Cristo alla madre in una giornata nebulosa, patetico dolore familiare, e l’umanissimo Volto di Cristo sofferente, che ci guarda e non ci guarda.
Tenerezza, affetto, pathos. E gioia per l’amore dei giovani nella serie degli Amori di Giove. Da Londra arriva Venere Amore e Cupido, carni modellate con cura sino a farle sentire tattili, dalla romana Galleria Borghese è la volta della celebre Danae: la ragazza riceve la pioggia d’oro nella sua stanza, colta dalla luce delicata del mattino incipiente, ed è felice. Correggio non ha paura di raccontare sentimenti ed emozioni, qualunque essi siano, perché possiede la libertà della poesia e l’amore per l’umanità, nel quale consiste forse la specificità del suo genio pieno di vita.
Francesco Mazzola da Parma, detto Parmigianino, è un enfant prodige, che lavora non solo nella città natale ma anche a Roma e a Bologna. Chi ha potuto salire sulle impalcature ad osservare da vicino gli affreschi nella parmense Chiesa della Steccata o ammirare le storie di Diana nella piccola stanza della Rocca Sanvitale a Fontanellato è rimasto incantato dalla bellezza sofisticata nelle opere del giovane genio, morto troppo presto a 37 anni nel 1540.
Nella mostra capitolina il ragazzo appare subito, a sedici anni, con il Matrimonio mistico di Santa Caterina, paletta dove la serenità del Correggio da cui deriva manifesta una prima incrinatura. Grandi opere come San Rocco o la Conversione di san Paolo da Vienna mostrano un artista sensibilissimo e fantasioso, dal virtuosismo innovativo. Nella Conversione la fantasia manierista genera un capolavoro unico: la montagna che “sale” accompagnando il dorso del cavallo bianco, vero coprotagonista del quadro, come accadrà più tardi al Caravaggio a Roma, il paesaggio surreale in uno slancio emotivo che percorre spesso l’opera di Francesco, e un'aristocrazia di forme nel colore “mentale” che si nota pure nella Madonna di san Zaccaria (Uffizi): una sera gelida e nuvolosa entro cui la Madonna bellissima tace, san Giovannino abbraccia Gesù e Zaccaria medita con occhio allucinato.
C’è in effetti in Parmigianino anche qualcosa di estremo, forse derivato dallo choc del Sacco di Roma, che lo porta via via ad un'espressione di sofisticata eleganza, di alta signorilità, di un preziosismo cromatico quanto mai affascinante, di un "distacco" dalla terra. Lo dicono in particolare i ritratti, personaggi misteriosi e conturbanti: la Schiava turca, dal turbante alla moda, ragazza ammiccante e soddisfatta, l’Antea impellicciata da Napoli che ci “buca” con il suo occhio scuro, il disordinato Ritratto d'uomo con libro da York e l’altero Lorenzo Cybo vestito di seta rosa. Ma lo dicono anche i disegni, numerosi, che ci mostrano un artista dal segno sicuro e raffinato, capace di veri capolavori, come pure succede al Correggio.
Naturale che, con geni di tale levatura, si sia formata intorno una scuola: nomi come Michelangelo Anselmi, Francesco Randani, Girolamo Mazzola Bedoli – le cui opere sono in mostra – non sono più nomi, ma veri artisti originali, creando anch’essi la grande Parma pittorica almeno fino al 1540. Vedere questa rassegna diventa quindi l’occasione per una serie di autentiche scoperte o riscoperte, tanto più che l’allestimento delle diverse sezioni è elegante, sobrio e ben illuminato. È una immersione appagante nella felicità dell’arte.
Fino al 26 giugno (catalogo Silvana editoriale).