Coronavirus: lo sport italiano verso la Fase 2

Il premier Giuseppe Conte, con il Decreto del 26 aprile, ha regolamentato anche la graduale ripresa delle attività sportive: restano, però, molti punti interrogativi
(AP Photo/Antonio Calanni)

Scongiurare gli enormi rischi di un “libera tutti”: la ratio che guida il Dpcm del 26 aprile 2020 è chiara. La curva italiana dei contagi da Coronavirus è in diminuzione costante, ma il pericolo di una sua risalita immediata è troppo grande per allentare da subito le corde. Così, anche per quanto riguarda le attività sportive, l’inizio della Fase 2 fissata per il 4 maggio riguarda solo gli allenamenti individuali.

Cosa dice il Dpcm

Via libera, nella sostanza, a due categorie. Da una parte podisti e ciclisti amatoriali: dall’altra, atleti di discipline sportive individuali e di riconosciuto interesse nazionale. L’articolo 1 del decreto, al comma F, si rivolge al primo gruppo preso in considerazione: “Non è consentito svolgere attività ludica o ricreativa all’aperto; è consentito svolgere individualmente, ovvero con accompagnatore per i minori o le persone non completamente autosufficienti, attività sportiva o attività motoria, purché comunque nel rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno due metri per l’attività sportiva e di almeno un metro per ogni altra attività”.

Il comma G del Dpcm, fermo restando la sospensione di eventi e competizioni sportive di ogni ordine e disciplina, riguarda il secondo gruppo individuato in precedenza. «Allo scopo di consentire la graduale ripresa delle attività sportive, le sessioni di allenamento degli atleti riconosciuti di interesse nazionale dal Comitato olimpico nazionale italiano, dal Comitato italiano paralimpico e dalle rispettive federazioni […] sono consentite, nel rispetto delle norme di distanziamento sociale e senza alcun assembramento, a porte chiuse». Prosegue lo stop alla riapertura di palestre, centri sportivi, piscine, centri natatori e centri benessere.

Il sistema calcio attende risposte

Grandi punti interrogativi, invece, si addensano attorno alla ripresa dello sport più popolare del Belpaese. All’interno del Decreto emanato ieri non sono previste date certe: il presidente Conte, nel corso della conferenza stampa serale, si è limitato a un laconico: «Lavoreremo insieme agli esperti e a tutte le componenti del sistema per trovare un percorso condiviso». Nel suo discorso emerge una data da segnare in rosso: il 18 maggio, infatti, potrebbe essere il giorno buono per far scattare gli allenamenti di squadra. Non c’è però traccia di questa scadenza all’interno del Dpcm: si tratta, quindi, di una linea temporale solo ipotetica.

Il perché di queste incertezze lo ha spiegato a chiare lettere il Ministro dello sport Vincenzo Spadafora: «Siamo coscienti di ciò che il calcio produce e dell’importanza dei fondi che sostengono gli altri sport. Da parte di vari presidenti e di alcuni commentatori, però, c’è un maldestro tentativo – ha detto ieri intervenendo alla trasmissione della Rai Che tempo che fa – di evidenziare una incapacità del governo o una volontà di penalizzare il calcio. Non è così: le fasi successive ce le dobbiamo conquistare». Il problema principale è legato al fatto che il protocollo per la ripresa stilato dalla Figc non è ritenuto sufficiente dal Comitato tecnico-scientifico che coordina l’emergenza Covid-19.

I tifosi, intanto, sono contrari alla ripresa

L’idea del presidente della Figc Gabriele Gravina di ricominciare agli inizi di giugno, dunque, non è praticabile. Nella più rosea delle previsioni una eventuale ripartenza della Serie A slitterebbe di almeno 15 giorni: si prefigurerebbe una vera e propria maratona per concludere la stagione entro i primi di agosto, come regolamentato dall’Uefa.

Nei giorni scorsi il presidente del Comitato olimpico Giovanni Malagò ha evidenziato come una soluzione sulla scia del modello belga-olandese non sia da scartare a priori: sospensione dei campionati e posizioni congelate per determinare promozioni, retrocessioni e qualificazione alle coppe. Un’idea che, fra l’altro, trova d’accordo la stragrande maggioranza dei tifosi. Secondo un sondaggio curato da Izi, in collaborazione con Comin&Partners, il 64% degli italiani sarebbe infatti contrario alla ripresa dei campionati professionistici. La motivazione prevalente è chiara e sensata: giocare non sarebbe ancora sicuro da un punto di vista sanitario.

 

 

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