Coronavirus, l’incognita del subcontinente indiano

Ancora non si è preso coscienza ovunque della gravità possibile dell’infezione da Covid-19. In India si stanno prendendo provvedimenti seri, come il “Janata Lockdown”. Si teme una diffusione del virus incontrollabile
AP Photo/Altaf Qadri

Stiamo vivendo tutti, a diverse latitudini, giorni che nessuno aveva previsto. Una pandemia di questo tipo era argomento per film… Ma ora ci troviamo, al di là delle nostre etnie, culture, religioni e credenze oltre che delle posizioni geografiche, a fronteggiare quest’emergenza mondiale. Col tempo, forse, capiremo dove e come davvero tutto è cominciato e, poi, come sono andate le cose. Intanto dobbiamo fare i conti con i bollettini quotidiani che ci dicono le tendenze del virus in Italia, ma anche in altre parti del mondo.

Il sub-continente indiano è uno di questi punti perché – con Pakistan, India, Bangladesh, Sri Lanka e, i minuscoli (si fa per dire) Nepal, Bhutan e Maldive – si arriva a quasi due miliardi di persone.

Il grande pericolo è che nel giro di poche settimane l’Asia del sud possa essere l’angolo di mondo a presentare lo scenario peggiore per il numero di infetti da coronavirus. Ramanan Laxminarayan, direttore del Center for Disease Dynamics, Economics and Policy di Delhi, prevede tra i 200 e i 300 milioni di contagiati, di cui 10 milioni in condizioni gravi.

Il sistema sanitario nazionale potrebbe anche riuscire a sopportare le cure per questi pazienti, ma «non se i contagi fossero concentrati in due-tre settimane». Ma non solo. Il Bangladesh corre rischi ancor più drammatici anche perché sprovvisto di strutture ed infrastrutture sanitarie adeguate ad affrontare una diffusione che potrebbe essere esponenziale, tenendo conto della popolazione ammassata spesso in slum o villaggi e città dove è pressoché impossibile garantire una distanza di sicurezza fra le persone. Basti pensare che Dhaka, la capitale del Bangladesh, conta quasi 3400 slum.

L’India ha cominciato a prendere misure serie anche se il numero dei casi non è particolarmente alto: fino ad oggi sono meno di 600 quelli appurati e il numero dei decessi, confronto a quelli dell’Italia, della Cina e dell’Iran ancora minimi. Non si arriva a dieci, almeno ufficialmente.  Tuttavia, mi dicono delle fonti che vivono nelle metropoli indiane, nessuno sa esattamente quanti siano i casi reali e la gente fino ad ieri non sembrava cosciente del pericolo della diffusione del virus: le solite folle per le strade, sui treni cittadini e a lunga percorrenza, anche se le scuole sono chiuse.

Tra l’altro questo è periodo di esami, soprattutto, quelli fondamentali della decima classe che dà accesso, completato il primo ciclo di studi, ai corsi pre-universitari. Domenica, comunque, il Paese si era fermato per una prova generale di lock-down, una sorta di coprifuoco.

È stato chiamato, infatti, il Janata curfew, coprifuoco della gente, dalle 7 della mattina fino alle 21 della sera. Le autorità indiane hanno tirato le somme del blocco di ieri, costatato anche l’atteggiamento imprudente della popolazione in varie parti del territorio, che ha sfidato il divieto d’uscire e messo a repentaglio la salute degli altri cittadini. Così nelle ultime ore l’amministrazione Modi è passata a decisioni nette. Da mercoledì 25 marzo l’India sarà di fatto chiusa in casa per 21 giorni: Janata lockdown.

L’adozione di misure drastiche prevede la chiusura dei trasporti, come le metropolitane, dove si ammassano milioni di persone ogni giorno. La capitale, New Delhi, è di fatto sotto coprifuoco e i suoi punti nevralgici come la centralissima Connaught Place, una piazza a cerchi concentrici la cui circonferenza massina è di 6 km, assolutamente deserta. Ma anche altri stati hanno dichiarato la chiusura totale: Andhra Pradesh, Uttarakhand, Chandigarh, Jharkhand, Jammu e Kashmir, Telangana e Punjab ed anche il piccolo Stato di Goa. Anche i luoghi di culto sono pressoché deserti in un Paese dove, invece, sono sempre affollatissimi.

Conoscenti che vivono nella megalopoli di Bangalore, capitale del software mondiale, da decenni ormai vivacissima e piena di grandi call-centre e di centri commerciali delle dimensioni più svariate, mi hanno fatto sapere che la giornata è passata nel silenzio più completo senza rumore di macchine o altro. Come in Italia, nei giorni scorsi, alle 5 pomeridiane c’è stato un appuntamento sui balconi per applaudire e far chiasso con le pentole. Molti vedevano i loro vicini di casa in faccia per la prima volta.

Ma c’è anche il risvolto della medaglia. Quando le autorità hanno annunciato la chiusura e l’interruzione dei trasporti, le persone si sono riversate nelle stazioni e hanno preso d’assalto i treni per tornare nelle loro città di origine, a volte a molte ore di distanza, o addirittura anche due giorni di viaggio in treno. Sono milioni di persone che si sono mosse e solo nelle prossime settimane si saprà se anche il virus ha viaggiato con loro. Le conseguenze potrebbero essere catastrofiche. E intanto l’India chiude e resta col fiato sospeso.

 

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