Coronavirus, le ricette di Uruguay e Paraguay

Due sistemi sanitari: uno efficiente, l’altro debolissimo; strategie diverse contro il coronavirus: quarantena obbligatoria in un caso, volontaria nell’altro. Eppure i risultati sono simili, con un numero limitato di contagi e di decessi mentre è iniziata la fase 2. Cosa possiamo apprendere da loro?

Uruguay e Paraguay sono scarsamente popolati. Mentre i 3,5 milioni di uruguayani si distribuiscono su 180 mila km2, due terzi quasi dell’Italia, i quasi 7 milioni di paraguayani abitano poco più di 400 mila km2 di territorio. La densità è di 20 abitanti per km2 nel primo e 17 abitanti per km2 in terra guarany. Pare che questa sia una delle chiavi che concorra a spiegare le ragioni di una lotta che ha dato finora risultati altamente positivi contro il coronavirus.

Se da marzo in qua in Uruguay i casi positivi al coronavirus non superano i 900, con 24 decessi, in Paraguay i positivi sono meno di 1.400 ed i morti 13. Gli studi finora condotti su questa malattia, in gran parte sconosciuta, inducono a pensare che la diffusione del male si intensifichi e sia meno controllabile lì dove la densità della popolazione sia alquanto superiore.

I numeri in Brasile, Argentina e Cile – come quelli di molte altre regioni del mondo – sembrano confermare tale ipotesi. In terra brasiliana si è al milione di casi e la megalopoli di San Paulo è la più colpita, situazione simile in Argentina e Cile dove l’80% dei casi di coronavirus, rispettivamente 40 mila e 240 mila, si concentra nelle loro mega capitali, Buenos Aires e Santiago.

Qualcuno potrebbe addurre che il clima semi-equatoriale paraguayano, con temperature elevate tutto l’anno, potrebbe aver influito su un numero così ridotto di casi. Alcuni epidemiologi confermano che il calore ridurrebbe l’attività del virus. Ma tale fattore non interviene in Uruguay, il cui clima è simile a quello italiano, e siamo ora in pieno inverno. E nemmeno spiega che a Panama, dove il clima è equatoriale, i positivi siano più di 25 mila.

Hanno agito allo stesso modo i governi di Asunción e di Montevideo? No, se non per il fatto di aver preso subito la decisione di chiudere le frontiere in presenza dei primi casi. Ma mentre le autorità paraguayane hanno stabilito una ferrea quarantena con coprifuoco, gli uruguayani hanno fatto appello al senso di responsabilità. Si è preferito evitare di adottare misure coercitive che avrebbero obbligato ad applicare sanzioni per farle rispettare, e magari ciò avrebbe colpito proprio chi era obbligato dalla necessità economica a uscire per lavorare.

In entrambi i casi, il messaggio dei governanti è stato chiaro, semplice ed ha invitato ciascuno cittadino a farsi parte di questa lotta al male. Il 90% delle persone è rimasto a casa. Il presidente guarany Mario Abdo ha saputo farsi intendere dalla gente comune, ed il suo collega Luis Lacalle Pou, a sole due settimana dall’inizio del suo mandato, ha ottenuto l’appoggio dell’intero arco parlamentare, che ha messo da parte le divisioni per sostenere le misure adottate.

Tra queste, tenendo conto che si tratta di una economia limitata incastonata tra due giganti, Argentina e Brasile, il parlamento uruguayano ha votato l’istituzione di un fondo speciale per affrontare la crisi, che prevedeva anche una riduzione del 20% degli stipendi di presidente, ministri, magistrati e di tutti i funzionari pubblici con salari superiori ai 1.700 euro al mese. Insomma, non è male dare l’esempio a cominciare da chi rappresenta lo Stato.

Un altro elemento comune ai due Paesi è quello del sistema sanitario che consente un accesso universale. Anche se quello paraguayano è molto più debole, tra l’altro già impegnato a combattere l’epidemia di dengue tuttora in corso, mentre è di qualità elevata quello uruguayano, con una rete di buoni ospedali. Un fattore chiave sono stati i medici di famiglia che in Uruguay hanno consentito di controllare il contagio evitando che i pazienti uscissero dalle loro case, senza sovraccaricare i centri sanitari.

Non è questa l’ora dei trionfalismi e bisogna esser cauti. Le barriere di filo spinato sono ancora ben visibili alla frontiera tra Brasile e Paraguay; si dovrà poi far fronte all’emergenza economica di due economie che dipendono in gran parte dall’economia regionale. Ma, intanto, se altrove si è ancora lontani dall’appianare la curva dei contagi, ad Asunción e Montevideo la vita comincia una nuova normalità. C’è da imparare qualcosa da chi ha fatto bene col coronavirus.

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