Coronavirus, le armi e le produzioni essenziali

Aspro il confronto in Italia tra governo e parti sociali sulle attività produttive da mantenere in funzione per evitare il tracollo. Appello a fermare la produzione bellica da Scuola di economia civile, Banca etica, Pax Christi e Movimento dei Focolari
Foto Sec

Fermare il contagio, non il Paese. È questa la prospettiva condivisa del lungo confronto in corso tra governo e sindacati dopo l’annuncio di sabato 22 marzo del Dpcm che ha disposto la fermata delle attività produttive “non essenziali” in tutto il territorio nazionale.

Filippo Attili/Palazzo Chigi/LaPresse 24-03-2020
Filippo Attili/Palazzo Chigi/LaPresse 24-03-2020

I sindacati hanno denunciato l’elenco delle attività indenni dal blocco, contenute nel decreto, perché diverse da quelle concordate. Ed esiste poi il punto d) del testo che permette la prosecuzione di attività connesse a quelle “essenziali” se riconosciute e autorizzate dal prefetto, dietro richiesta delle aziende.

Una procedura applicata in maniera significativa anche dal comparto produttivo molto diffuso nella Lombardia ( 600 richieste di deroga solo a Brescia) che resta la zona più colpita dal coronavirus.

I primi a fermarsi con scioperi spontanei sono stati i lavoratori della logistica rappresentati da sigle sindacali(Sicobas, Usb) poco note ma molto attive in questo campo strategico. Anche i magazzini di Amazon si sono fermati per le proteste dei lavoratori, decidendo di limitarsi, per il momento, alla consegna solo di beni essenziali. Sono poi intervenuti le sigle maggiori dei sindacati annunciando lo sciopero dei metalmeccanici per il 25 marzo.

L’area degli economisti guidati dall’Istituto Bruno Leoni fanno notare che il rischio che chiudere un’azienda non è come spegnere una lampadina ma un reattore nucleare che è poi difficile riaccendere. Le filiere produttive moderne sono molto complesse e basta la mancanza di un tassello per fermare l’intero ciclo di attività che non possono fermarsi. Il rischio, secondo loro, è quello di consegnare il Paese alla carestia, come ha scritto Alberto Mingardi.

Il presidente di Assolombarda, Carlo Bonomi, denuncia il persistere in Italia di «un sentimento anti-industriale» e fa notare che nel settore delle piccole imprese la prospettiva reale è quella della chiusura definitiva delle saracinesche.

Marco Bentivogli della Fim Cisl distingue tra la sensibilità e responsabilità dimostrate da alcune imprese e l’emergere in altre società di un «cinismo padronale che pensavamo scomparso da tempo». Le cronache anche da Brescia e Bergamo, dove i sindaci hanno auspicato il blocco totale per rischio da ecatombe, riportano testimonianze, necessariamente anonime, di pressioni subite dai lavoratori esposti al pericolo da contagio in assenza di procedure e dispositivi di sicurezza. «Sono consapevole che, dopo questa crisi, possano restare solo macerie di tante fabbriche in Italia. Ma oggi il nostro primo pensiero dev’essere evitare che sotto quelle macerie ci restino anche dei lavoratori», ha dichiarato Bentivogli ad Avvenire.

Come ribadisce per la Cgil Maurizio Landini «nessuno di noi vuole un provvedimento di chiusura per un tempo infinito ma abbiamo la necessità di restringere l’attività e l’esposizione delle persone per il tempo indispensabile. L’obiettivo di fermare il coronavirus, non il Paese».

Anche nel comparto della difesa e dell’aerospazio si registrano scioperi e proteste coinvolgendo le aziende di Leonardo, ex Finmeccanica, società controllata dal ministero del Tesoro che ne detiene il 30% del capitale. L’esenzione dal fermo dell’attività per questo tipo di produzione è prevista dal punto “h” del decreto come esempio di società di importanza strategica per il Paese. Una decisione che appare inevitabile osservando la linea costante dei diversi governi in materia di politica industriale incentratata sulla progressiva dismissione del settore civile a favore di quello militare.

E tuttavia, a  partire dalla conferma del mantenimento degli stabilimenti collegati alla commessa dei caccia bombardieri JSF35, è cresciuto il dissenso verso tale scelta che palesa anni di investimento in filiere dei sistemi d’arma, destinate, come il caccia F35,  al mercato internazionale mentre il nostro Paese ha visto la contrazione degli investimenti nel settore della sanità. Una contraddizione che è esplosa con la pandemia da coronavirus. Come fa notare Giorgio Beretta, analista di Opal, è palese la contraddizione tra il gran numero di aziende del settore delle armi e la presenza in Italia di un solo stabilimento specializzato nella produzione di respiratori artificiali.

A partire da queste evidenze è nato l’appello diretto al presidente Conte e al parlamento da parte della Scuola di economia civile, assieme a Banca etica, Focolari e Pax Christi, a rivedere la scala di priorità nella definizione delle attività essenziali in tutta la loro filiera, distinguendo tra «economa civile e incivile».

Foto Andrea Maccari
Foto Andrea Maccari

È la base di una questione che va affrontata e dibattuta seriamente anche perché rientra nell’indirizzo prevalente di politica economica e industriale. È bene ricordare che la scuola di economia civile è il motore di quel grande evento internazionale che doveva iniziare in questi giorni ad Assisi per promuovere un cambio di paradigma nel segno dell’“Economia di Francesco” a livello mondiale. Ed è di queste ore l’appello del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, a fermare tutti i conflitti nel mondo per concentrare tutte le risorse a debellare un virus ancora da decifrare dalle conseguenze catastrofiche. «La furia del coronavirus mostra la follia della guerra. Ecco perché chiedo un cessate il fuoco globale e immediato in tutti gli angoli del mondo», ha ribadito con forza Guterres.

foto Rete disarmo
foto Rete disarmo

Nel frattempo, la società Rwm Italia, controllata dai tedeschi della Rheinmetall, ha deciso di sospendere la produzione in Sardegna perché, in tempi di emergenza sanitaria, è opportuno chiudere le attività esposte a rischio di incidente rilevante.  La Rwm è accusata di fornire armi all’Arabia Saudita per la guerra in Yemen iniziata il 25 marzo di 5 anni fa come evidenzia una campagna di pressione ( War in Europe – Made in Europe) che sottolinea la responsabilità di tanti Paesi nell’aver alimentato con grandi forniture di armi quel conflitto che miete migliaia di vittime tra i civili e ha ingenerato una epidemia di colera che colpito un milione di persone che restano fuori dal campo dei grandi media.

Da segnalare, infine, che la Beretta di Brescia, ai vertici mondiali per la produzione di armi cosiddette leggere, ha riaperto un settore per produrre valvole per i respiratori di emergenza. Una conferma che, se si vuole, la riconversione è possibile. Se esiste la volontà politica e una diversa scala di priorità nel definire cosa è strategico, civile e incivile in questa fase della storia.

Cgil Cisl e Uil, nel primo pomeriggio di mercoledì 25 marzo hanno fatto sapere con una una nota unitaria di aver raggiunto, dopo un lungo confronto, un’intesa con il governo « sull’elenco di aziende che potranno derogare dallo stop imposto dal Dpcm del 22 marzo scorso per fronteggiare il coronavirus».

I prefetti dovranno, a quanto pare, consultare preventivamente le organizzazioni sindacali «per definire quali imprese, pur non essendo incluse nell’elenco del Dpcm, svolgono attività funzionali ad assicurare la continuità delle filiere essenziali».

Il confronto con l’esecutivo ha coinvolto anche il ministro della Difesa,  Lorenzo Guerini, relativamente alla produzione militare. Segnali e impegni da seguire con attenzione.

 

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