Coronavirus e il lavoro da casa

Come sta funzionando lo strumento dello smart working che permette di lavorare da casa? Lo stato delle cose nelle zone individuate come focolaio del contagio e nelle Regioni a rischio. Le istruzioni valide fino al 15 marzo e le prospettive future.

Via libera allo smart working per i lavoratori delle aziende situate nei territori delle regioni delle cd. zone rossa e gialla (cioè Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Veneto e Liguria) e per i lavoratori ivi residenti o domiciliati che svolgano attività lavorativa fuori da tali territori. È il caso ad esempio di un soggetto che abita in Lombardia e lavora nel Lazio.

Fino al 15 marzo – così come prevede il Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 25 febbraio 2020 – è possibile applicare il lavoro agile in via provvisoria anche in assenza di accordo individuale tra datore e lavoratore ma nel rispetto dei principi dettati dagli articoli da 18 a 23 della legge n. 81/2017.

Tali principi sono relativi alle modalità di esercizio dei poteri datoriali organizzativi  e di controllo, al diritto alla disconnessione da parte del lavoratore rispettando il normale orario di lavoro, alla individuazione del luogo di lavoro – che in questa situazione di emergenza non potrà che essere la casa del lavoratore o sue pertinenze senza possibilità di lavorare in luoghi pubblici -, agli strumenti di lavoro utilizzati che possono essere anche di proprietà del lavoratore purché sia garantita la tutela dei dati aziendali.

In capo al datore del lavoro rimane sempre l’obbligo di comunicazione preventiva in via telematica ai servizi competenti per l’attivazione del lavoro agile e quello in modalità semplificata di inviare al dipendente una mail per l’informativa in materia di salute e sicurezza del lavoro così come indicato dall’Inail.

Tutto sembra agile, in verità all’atto pratico così non pare. Nelle aziende dove lo smart working era già una realtà vissuta anche prima dell’emergenza Coronavirus, i lavoratori dipendenti continuano a svolgere le proprie mansioni con la modalità del lavoro agile magari aumentando i giorni in cui lavorare da casa. Nelle medie e piccole aziende invece ancora ci si domanda il da farsi e come procedere in quanto è il datore di lavoro a dover prendere l’iniziativa e proporre ai lavoratori dipendenti di attuare tale modalità di prestazione lavorativa.

Inoltre, se da un lato il ricorso al lavoro agile consente ad alcuni datori di lavoro di non perdere in produttività, di ridurre gli effetti dannosi sull’ambiente grazie al minor traffico, alle minori emissioni di CO2 e di ridurre anche i costi del lavoro (meno scrivanie, meno dispendio energetico, ecc,), dall’altro altri datori di lavoro, a causa dell’espandersi del lavoro da casa, può subire una contrazione dell’attività lavorativa. Si pensi ad esempio agli esercizi commerciali che somministrano cibi e bevande nell’ora di pranzo, a colazione e magari all’ora dell’aperitivo.

Numerosi i vademecum e le istruzioni operative che le associazioni di categoria, consulenti del lavoro e avvocati giuslavoristi hanno predisposto per venire in aiuto ad associati e clienti, titolari e manager di azienda, in cerca di conferme su come operare. Isabella Covili Faggioli, presidente Aidp (Associazione italiana direttori del personale), precisa che «il ruolo dei direttori del personale in questo momento di grande responsabilità è favorire una doverosa collaborazione con le autorità competenti e aiutare le aziende a non farsi trovare impreparate dal presentarsi di eventuali situazioni di emergenza, istituendo  un apposito comitato per la tempestiva gestione di tutte le criticità che si dovessero presentare e, laddove ci sono le condizioni, favorire il più possibile il ricorso allo smart working e al lavoro da casa. Il ricorso a tale modalità lavorativa così come un costante sforzo di informazione verso il personale contribuirà ad affrontare e superare questa difficile fase».

La Fondazione studi dei consulenti del lavoro, ipotizzando alcune situazioni che potrebbero realizzarsi nel rapporto di lavoro nei territori interessati dall’emergenza Covid-19, fornisce in un documento del 24 febbraio 2020 risposte alle domande comuni quali: il lavoratore in quarantena va retribuito? Ci si può assentare dal lavoro per timore di contagio? E cosa fare se vengono vietati gli spostamenti?

Il lavoro agile può venire in soccorso dei lavoratori che a causa dell’ordine della pubblica autorità, che impedisce di uscire dalla zona del contagio, non possono prestare la loro attività nel luogo di lavoro. In ogni caso l’assenza per sopravvenuta impossibilità a recarsi al lavoro per cause indipendenti dalla volontà del lavoratore prevede di rimanere a casa ma con la retribuzione pagata. Così come il caso delle aziende ubicate nei territori messi in quarantena che sono inibite da proseguire l’attività produttiva. In queste situazioni intervengono gli ammortizzatori sociali. Invece, l’assenza dal lavoro determinata dal semplice “timore” di essere contagiati, senza che ricorra alcuno dei requisiti riconducibili alle fattispecie previste, è da ritenersi giuridicamente ingiustificata e passibile di provvedimenti disciplinari.

Anche il Ministero per la pubblica amministrazione nelle prime indicazioni in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 invita le amministrazioni al di fuori delle aree geografiche maggiormente a rischio, al fine di garantire uniformità, coerenza ed omogeneità di comportamenti del datore di lavoro per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, a potenziare il ricorso al lavoro agile, individuando modalità semplificate e temporanee di accesso alla misura con riferimento al personale complessivamente inteso, senza distinzione di categoria di inquadramento e di tipologia di rapporto di lavoro.

L’emergenza Coronavirus pare accelerare un cambiamento culturale già in atto relativo ai modelli organizzativi del lavoro, tuttavia sembra mettere in luce anche alcune fragilità dell’impianto normativo che disciplina lo smart working che sicuramente non può essere la «panacea – come dice Michele Tiraboschi, professore ordinario di Diritto del lavoro Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia – ma è lo strumento sul quale anche a livello legislativo si è puntato di più» per affrontare l’attuale situazione.

 

 

 

 

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