Coronavirus, insieme per salvaguardare il popolo siriano
Said, taxista ad Aleppo anche durante l’emergenza da coronavirus, ha due figlie adolescenti: «Io metto la mascherina, ma nel mio taxi devo accettare tutti; già è difficile procurarsi il cibo…». La scelta per lui è restare a casa al sicuro o morire di fame. Ha già corso questo pericolo durante gli anni dell’assedio. Naja, anziana signora malata di cancro, ha dovuto interrompere le cure, perché la scelta è tra comprare le medicine e comprare il cibo per sé e per i nipoti che vivono con lei.
Affrontare la crisi da coronavirus nei Paesi occidentali è una sfida senza precedenti e le risorse pubbliche e private e i sistemi sanitari sono obbligati ad un pesantissimo impegno che lascerà per lungo tempo il segno. Ognuno di noi sta cercando di fare la propria parte per rispondere alla chiamata che sente vibrare dentro la diffusa e comune difficoltà, cercando di trovare nelle proprie convinzioni, nella propria competenza, il proprio ruolo per non creare ostacoli e, se possibile, per collaborare a trovare soluzioni. Ma non basta. Non basta più.
Questo virus ci sta dando tante lezioni, ma forse la più chiara è che siamo un’unica famiglia umana: tutti ci ammaliamo alla stessa maniera e con gli stessi pericoli, ma non possiamo nasconderci che affrontare questa pandemia da coronavirus in Italia o negli USA, in Siria o in Iran, in Congo o in Burkina Faso, non è la stessa cosa.
In Siria il Covid 19 arriva in un Paese che dal 2011 soffre per una tremenda, interminabile guerra, una guerra la cui responsabilità – tra il resto – ha molte delle sue radici in alcune delle cancellerie occidentali; soffre un totale embargo finanziario e commerciale che coinvolge anche l’Europa; soffre l’isolamento diplomatico che la rende facile preda di chiunque abbia interessi in Medio Oriente. Parlando con Said, Naja, Maria, Robert che vivono là, Anna Ida Russo, una vivace imprenditrice di Novara, ha pensato di scrivere e condividere un appello capace di raccogliere quel grido di aiuto e di dare a tutti noi la possibilità di agire come persone consapevoli di essere legate agli altri da una reciproca responsabilità fraterna. Da lì si è coagulato un primo gruppo di persone, con ruoli e competenze diverse, angoli di visuale politica e culturale diversi, con dislocazioni diverse: New York, Ginevra, Aleppo, Roma, Novara e Trento. Abbiamo portato avanti il dilagare di questo appello utilizzando, in laboriose sedute, tra un impegno e l’altro di lavoro, l’ineffabile, notissimo Zoom, strumento che ormai ci accompagna dovunque, dalle chiamate che riuniscono famiglie, company e classi scolastiche.
Abbiamo raggiunto associazioni, nazionali e internazionali, siti, vari social, gente comune, personaggi, coinvolgendo tutti a fare la propria parte. Dalla Comunità di Bose al CONI e alle ACLI, da Cretienne d’Orient a Human Right, cittadini europei e statunitensi, da Romano Prodi al senatore Steni Di Piazza, dalla sindacalista Susanna Camusso a Ivan Maffeis, portavoce della CEI: ognuno sta esponendo la sua forza politica per dire che, al di sopra di qualsiasi orientamento politico o ideologico, l’obiettivo è quello di salvaguardare la popolazione civile siriana.
David Sassoli, presidente del Parlamento Europeo – uno dei destinatari assieme al segretario delle Nazioni Unite, António Guterres, a Trump, a Nancy Pelosi, e a Charles Michel – ha espresso un qualche ottimismo: forse oggi le sofferenze dei nostri popoli ci rendono più sensibili alle sofferenze altrui e rendono meno egoistiche le nostre posizioni politiche. A noi rendere forte la voce di questo appello per la Siria.
Chi volesse firmare e diffondere l’appello può farlo a questo link.