Coronavirus, Grecia tra paura e voglia di reagire
Abbiamo intervistato Argiris Panagopoulos, giornalista di “Avgi”, che ci parla dell’emergenza freddo e coronavirus nei campi profughi greci. Vive ad Atene, dopo aver studiato in Italia e Spagna, ed appartiene al dipartimento di politica europea di Syriza, promotore di ambulatori medici e farmaceutici solidali e di mercati sociali.
Qual è la situazione dei bambini, delle donne e degli uomini confinati nei campi profughi tra freddo, scarsità di viveri ed acqua e cure?
La notizia di questi ultimi giorni è la morte di una signora di 70 anni nell’ospedale di Lesbos. Il virus, come tutti temevamo, non si confina. La situazione è ormai tragica, non si è voluto alleggerire il peso sulle isole trasferendo nella Grecia peninsulare migliaia di profughi e immigranti. Cosi Moria, rispetto all’enorme numero di 5 mila persone che aveva raggiunto con il precedente governo, quando ne poteva ospitare 2.500, ora ne ospita più di 25 mila. L’alimentazione delle persone è scandalosa: una inesistente qualità di cibo pagata troppo dallo Stato. In molti centri di accoglienza la scarsa distribuzione di acqua crea enormi problemi anche per le questioni sanitarie, aumentando i rischi del Covid-19. L’attuale governo sembra intenzionato a fare delle isole una sorta di campi-carceri per i profughi, come avvenne ai tempi della guerra civile e della dittatura quando nelle isole greche furono messi a marcire gli oppositori e le persone di sinistra senza acqua, vegetazione e testimoni scomodi.
Quali sono le radici storiche dell’accoglienza in Grecia e perché negli ultimi mesi sembra prevalere la paura dello straniero?
Nelle isole vicine alla Turchia esiste un forte movimento di solidarietà con i profughi e gli immigrati, a parte le aggressioni e le manifestazioni dei nazisti, razzisti e xenofobi, che si permettono di devastare sedi di organizzazioni non governative, aggredire volontari e persone solidali perché sanno molto bene che ormai la polizia spalleggia simili comportamenti. Non sono stati contrastati né denunciati moltissimi casi di linciaggio contro gli immigrati, lasciando impunita anche l’azione di gruppi armati che sostituendo la polizia di confine, davano la caccia a profughi e immigrati. I mezzi di informazione, e specialmente le televisioni, coltivano la paura facendo intendere a tutti che gli stranieri sono persone perlomeno di seconda categoria.
Dal sagrato di San Pietro, papa Francesco ha detto che «siamo tutti sulla stessa barca…. e nessuno si salva da solo». Cosa significa in questo momento tragico per la storia dell’umanità?
Papa Francesco è venuto di persona a Lesbos, quando molti in Europa aspettavano e chiedevano alla Grecia colpita dai memorandum dell’Europa liberista di affondare le barche. Francesco ha rotto in quel modo l’isolamento internazionale di Tsipras, che ci diceva invece di andare in spiaggia a salvare vite. Il papa sottolinea la coerenza del rispetto per le vite umane. E paga in prima persona per questo. L’Europa dopo dieci anni di massacro sociale nega gli Eurobond o vuole un Mes accompagnato da un memorandum. Qui non si tratta solo della negazione della richiesta di condivisione del peso dei profughi e degli immigrati. Si tratta di un concetto tribale, quando le gallerie nelle montagne, le autostrade, i treni e gli aeroporti hanno abolito di fatto le oasi felici in Europa. Lo ha detto, nel modo più orrendo, la pandemia.
La Grecia è un paese con un’identità nazionale forte. Si dice che sia la culla della civiltà: cosa potrebbe insegnarci?
Noi siamo orgogliosi della nostra storia, antica ma anche presente, come qualsiasi altro popolo del mondo. La nostra storia e le storie degli altri sono utili per intenderci, capirci a vicenda, e non per dividerci. Il nazionalismo fa male a tutti. Anche nella nostra storia moderna crediamo di essere stati dalla parte giusta della storia umana contro la storia disumana. Siamo un piccolo popolo in un piccolo Paese, ma molte volte abbiamo pensato e agito per il bene comune di tanti altri popoli e persone. Abbiamo combattuto il fascismo, abbiamo lottato per la democrazia e abbiamo lottato per salvare l’Europa dalla disgregazione, salvando più di una volta l’eurozona. La firma di Tsipras del memorandum della crisi, nell’estate del 2015, che forse non è stata capita, ha salvato l’Italia, la Spagna, il Portogallo e gli altri paesi indebitati dalla crisi. Non vogliamo che i nostri sacrifici degli ultimi anni vadano persi. Non esistono soluzioni nazionali. Il nostro paese è l’Europa e dobbiamo prenderla nelle nostre mani.
Noi italiani condividiamo con la Grecia il “Mare nostrum”. Quanto è importante per l’Europa andare oltre i propri confini o, per dirla con il poeta Dante, “seguire virtute e conoscenza”?
Mare nostrum è una espressione sbagliata. È un mare di tutti. Invece l’unica cosa “nostra” è la colpa di averlo trasformato in un cimitero. Abbiamo seminato tiranni, guerre, fame e miseria in tanti Paesi, dal Mediterraneo fino ai confini dell’India o nella profondità dell’Africa, ed è naturale voler scappare da questo. Grazie a questi fuggiaschi – che lavorano oggi nelle nostre industrie e reggono i nostri sistemi fiscali e assicurativi – avremo le nostre pensioni. Si può usare l’esperienza del coronavirus per sconfiggere la pandemia dall’appropriazione indebita delle risorse di tutti per l’interesse di pochi se non pochissimi? Allora non ci sarà bisogno di trasformare gli Expo in ospedali di fortuna e guardare il mare con paura. Abbiamo bisogno di un grande respiratore per respirare e vivere in una Europa solidale, pacifica, democratica e profondamente giusta. Per questo dobbiamo impegnarci tutti.