Coronavirus, fraternità e democrazia partecipativa
Ai tempi della pandemia da coronavirus, la politica si presenta come bio-politica. Si occupa infatti della vita delle persone. Ritorna all’essenziale: primum vivere. Dopo anni di populismi a livello internazionale e di critica all’ intermediazione politica, a favore della democrazia diretta, oggi chiediamo a Governi, Regioni, Protezione civile di assumere decisioni rapide e coordinate.
È la dimostrazione che le democrazie possono reggere a shock globali senza diventare “democrature” come in Russia, Turchia, India. Stiamo superando infatti la crisi da coronavirus con procedure democratiche, sia pure nello stato di eccezione.
Non solo le dittature ma anche le democrazie possono farcela impiegando in modo costituzionale tutte le misure restrittive con ausilio medico e di ordine pubblico dell’esercito. Ovviamente servono fiducia reciproca ed etica del discorso di Habermas, con una interazione continua tra Governo, regioni, scienziati, medici, protezione civile, Comuni, cittadini responsabili, orientata ad una intesa.
È il superamento della politica spettacolo. Ma in quale situazione si trova oggi in Italia il sistema politico? Che cosa rappresentano i partiti oggi, di fronte al dilagare dei populismi, dei sovranismi, della crisi della democrazia rappresentativa? Per dare una risposta è necessario entrare in un contesto assai complesso.
Siamo infatti ad un passaggio d’epoca in cui bisogna riaccordare i principi che sono alla base dei partiti ricostruendo intorno ad essi una comunità che abbia come fondamento i concetti di libertà, uguaglianza, fraternità. Principi appartenenti sia alla proposta evangelica che alla Rivoluzione francese e che sono i cardini di una comunità. La fraternità, tuttavia, è stata relegata in parrocchia e nel privato.
Libertà ed uguaglianza si trovano invece spesso contrapposti in politica. Così i partiti Lib-lab, di tradizione liberale e laburista hanno creato lo spazio per un individuo socialmente slegato, come lavoratore, consumatore, risparmiatore, contribuente, utente dei servizi di welfare, tanto da far apparire che il benessere sia promosso solo dall’azione dello Stato e del mercato, mentre i partiti liberali e i partiti socialisti hanno ridotto lo spazio della fraternità e della comunità. Il mondo Lib-Lab va però paradossalmente in crisi proprio quando crede di aver vinto con il crollo del Muro di Berlino, grazie alla globalizzazione e ad un rapido progresso tecnologico.,
I partiti socialdemocratici non si sono accorti dei ceti medi impoveriti, di operai e giovani precari dimenticati nelle varie periferie. I movimenti populisti sono stati i primi, invece, a capire il disagio ed ad offrire una risposta sbagliata ma di facile presa: la protezione sociale con il sovranismo. Il recupero cioè, attraverso un nuovo nazionalismo, di radici culturali, identità, sicurezza, basati però sul conflitto sociale contro immigrati ed élite. Questa risposta ha seminato, come conseguenza, odio in rete e nei comizi, perché il populismo non cura la malattia, ma ha, per sua natura, la tendenza a dividere i cittadini.
L’errore dei partiti Lib-lab, per parte loro, è di non aver capito che le persone hanno bisogno di comunità coese e di relazioni fraterne. L’uomo è, infatti un animale simbolico, un nesso di rapporti sociali, un cercatore di senso, prima di essere un consumatore, lavoratore, destinatario del welfare. Qual è la sfida allora? Creare movimenti a sostegno dell’economia civile e del Terzo Settore. Le crescenti disuguaglianze non si curano con il laburismo radicale alla Corbin né confinando la fraternità in spazi privati. Tali movimenti devono facilitare l’inoculazione di germi di fraternità nel mercato per trasformarlo dal di dentro, sostenere minoranze profetiche e generative di cittadini e imprenditori mediante il voto con il portafoglio, il consumo critico, la finanza etica, fondi di investimento orientati al Green New Deal.
Occorre cioè un nuovo modello di sviluppo, non bastano classiche politiche redistributive. I nuovi partiti devono allora vedere lo Stato come levatore di energie della società civile, capaci di ricostruire con il volontariato i legami sociali ed affettivi, di promuovere cittadinanza protagonista e fraternità, in una parola società generativa di responsabilità e competenze.
I partiti non devono essere solo collettori di consenso, ma anche animatori di cittadini critici, in grado di trasformare la società in comunità, passando da assistiti a protagonisti. La storia ormai insegna che libertà ed uguaglianza non stanno insieme senza fraternità in politica e in economia. I continui fallimenti umani della fiducia e della cooperazione si curano con la cultura del dono e con meccanismi intelligenti di reciprocità. Solo quando avranno riscoperto questa visione i partiti potranno rinnovarsi, i cittadini torneranno nelle loro sedi, e, ritrovando senso ed identità, potranno sconfiggere i populismi.
Popolo, una parola abusata. C’è un malinteso democratico per Yves Meny. Ogni eletto dice di parlare in nome del popolo, di tutto il popolo. Ma la parola popolo possiede la virtù magica di unificare ciò che non può esserlo. Il popolo è una illusione, un mito, una convenzione a seconda dei partiti. In realtà viviamo in un disincanto democratico con disaffezione dei cittadini verso i governi, considerati responsabili, insieme a partiti, élite e mercati della espropriazione del proprio potere. Ma il potere del popolo sovrano esiste davvero?
Nella realtà della democrazia effettiva c’è un sistema di “deleghe a cascata”, complicato e faticoso. Non esiste un popolo unico e fittizio. Il popolo concreto è eterogeneo, diverso, problematico. I partiti, una volta al potere, cercheranno di contenere le spinte all’interno di un sistema politico. Per capire le ragioni della crisi del sistema rappresentativo occorrono però ulteriori approfondimenti. Sconfitto il coronavirus, il prima possibile, nulla sarà più come prima. Possiamo prevedere.