Coronavirus, disinformazione sull’Iran
In Cina e in Corea del Sud l’epidemia di coranavirus sembra aver superato il picco dei contagi e si ha l’impressione che lentamente stia iniziando la regressione. Dopo l’Italia, al terzo posto nel mondo per numero di contagiati (più di 10 mila al 10 marzo), il quarto Paese più colpito è l’Iran (circa 8 mila contagiati al 10 marzo). In entrambi i Paesi, a quanto pare, la curva dei contagi è ancora in crescita. Ma sui media occidentali la situazione sanitaria dell’Iran viene tendenzialmente descritta come gravissima e fuori controllo. La sensazione è che, come per tutto ciò che riguarda l’Iran, la pregiudiziale ideologica unita alle fake news del solito gossip catastrofico riempia i vuoti di informazione e orienti molte notizie, anche di fronte alla evidente necessità di un impegno comune di tutta l’umanità per contrastare l’avanzata del coronavirus e curare chi ha contratto la malattia.
Che quella iraniana sia una situazione pesante non c’è dubbio, ma quello che non si sa, o si sa poco, è che le sanzioni colpiscono anche le importazioni di farmaci e di presidi medicali. In particolare, all’inizio mancavano soprattutto i kit per i test diagnostici, i cosiddetti tamponi. Anche di recente il ministro degli Esteri iraniano Zarif ha twittato un appello a tutti i Paesi del mondo per chiedere di opporsi alle sanzioni statunitensi contro l’Iran, che, nello specifico, ostacolano la lotta per contenere la diffusione dell’epidemia da Covid-19.
Ma i ricercatori iraniani non si sono arresi e, dopo un ritardo iniziale nel contrasto all’epidemia, hanno messo a punto autonomamente un kit di identificazione del virus, che è stato prodotto nel Paese e reso capillarmente disponibile. Il portavoce del comitato scientifico nazionale, Mostafa Ghanei, ha di recente reso noto che «prosegue il lavoro anche su un farmaco che non è in grado di guarire il Covid-19, ma ha una forte azione contro il virus e può aiutare soprattutto gli ammalati con sintomi meno gravi ad una più veloce guarigione».
Richard Brennan, direttore regionale dell’Organizzazione mondiale della sanità per il Mediterraneo orientale, ha recentemente visitato numerose strutture sanitarie in diverse città iraniane ed esaminato i provvedimenti adottati dal governo: alla fine ha dichiarato il suo apprezzamento per il lavoro svolto, auspicando inoltre che altre nazioni possano usufruire dell’esperienza maturata in Iran nel contrasto all’epidemia. La notizia è riferita da Pars Today, la radio della Repubblica islamica iraniana, disponibile sul web anche in italiano (parstoday.com), e da altri siti internazionali.
Sotto un profilo sociale ed economico, nonostante le grandi difficoltà in cui si trova il Paese, sono stati adottati provvedimenti significativi e particolarmente interessanti. I provider iraniani, per esempio, forniranno in occasione del capodanno persiano (Nowruz 1399), il 20 marzo prossimo, 100 Giga di internet gratuiti per aiutare la gente a rimanere in casa. Anche alcune tv hanno modificato i programmi serali per favorire l’intrattenimento. Il governo ha inoltre predisposto un piano di rinvio di due mesi nel pagamento delle rate dei mutui, e gli stipendi di operatori sanitari e insegnanti sono stati aumentati. L’organizzazione scolastica (dalle primarie all’università) si è adeguata alla quarantena mettendo a disposizione degli studenti lezioni live oppure registrate e disponibili online.
Al fine di prevenire il rischio di contagi e proteste nelle carceri (come è successo in Italia), il capo della magistratura di Teheran, Ebrahim Raisi, ha disposto il trasferimento ai domiciliari di 70 mila detenuti (tra quelli condannati a meno di 5 anni). «Il rilascio di detenuti continuerà, a patto che non crei insicurezza nella società», ha aggiunto Raisi senza precisare la durata del periodo di scarcerazione.
La Guida Suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, ha esortato gli iraniani a seguire le indicazioni mediche e sanitarie per contenere la diffusione del contagio: «Le regole sanitarie e i consigli non devono essere ignorati, dal momento che Dio ci obbliga a essere responsabili della nostra salute e di quella degli altri». Ed ha aggiunto che il lavoro di medici e infermieri «è il Jihad per amore di Dio». È il Jihad maggiore, nel senso più autenticamente islamico (non islamista): uno sforzo verso l’eccellenza morale e spirituale.