Coronavirus: diario dalla bergamasca
Forse la fine di quest’incubo non è poi così lontana. I dati dell’ultima settimana in Lombardia sono sicuramente incoraggianti. I contagi sono in calo e soprattutto sono diminuiti i ricoveri in terapia intensiva e i passaggi al pronto soccorso. Ma il presidente della Regione Fontana e l’assessore al Welfare Gallera sono stati chiari: non è il momento di allentare la presa, altrimenti tutti gli sforzi fatti fino ad ora sarebbero solo vani.
La Lombardia rimane ad oggi la regione più colpita in tutto il Paese e da sabato scorso è in vigore l’obbligo di indossare la mascherina nel momento in cui si esce dalla propria residenza per fare la spesa o per motivi strettamente necessari. Nel caso in cui le mascherine non siano reperibili si è autorizzati ad usare una sciarpa o un foulard per sopperire a tale mancanza.
Intanto a Bergamo aprirà l’ospedale da campo allestito dalla protezione civile grazie all’aiuto degli alpini e degli artigiani volontari provenienti da tutta la provincia. L’apertura era prevista per la scorsa settimana, ma a causa di un piccolo ritardo nei lavori, l’apertura è stata rimandata a lunedì (oggi). La speranza che tutto questo finisca in tempi non troppo lunghi c’è, ma Bergamo e la sua provincia rimangono segnati dalle quasi tremila vittime del Coronavirus. Il 31 marzo scorso, proprio per ricordarle, la città si è fermata in un minuto di silenzio. Un silenzio difficile da colmare per tutti coloro che vivono il dolore della perdita di un parente o di una persona cara.
Quarta settimana a casa. Un mese di quarantena.
Mai avrei pensato di vivere qualcosa di simile nella mia vita eppure sono qui a raccontarlo. Scrivere mi aiuta a concretizzare quello che provo in questo periodo, ma onestamente spero che questo sia uno degli ultimi articoli di questo “diario dalla bergamasca”. Mi auguro che nel prossimo futuro potremo parlare di altro, ecco. Sono veramente dei giorni di piccole e grandi speranze, per me e per la mia comunità, per la mia città.
Spero che presto potremo riabbracciarci e sentirci ancora più vicini. Vicini davvero. Senza guanti e mascherine e senza paura di conoscerci e stringerci la mano. Spero che chi ha dovuto salutare per sempre un parente o una persona cara possa dirgli un ultimo “arrivederci” e piangere, liberandosi dall’angoscia e dal sentimento di impotenza che assale e logora lentamente nel ricordo.
Spero che impareremo da questo momento buio della nostra storia a prenderci sempre cura del prossimo, non solo quando è in difficoltà, ma nella quotidianità di tutti i giorni. Perché c’è sempre qualcuno che soffre e, anche se sembra non gridare aiuto a noi, in realtà aspetta solo che qualcuno gli tenda la mano e forse, quel qualcuno, siamo proprio noi.
Spero che chiunque abbia un progetto che è stato messo in “stand-by” da questo virus possa realizzarlo. Penso a due coppie di amici che si stanno per sposare e hanno paura che tutto salti. Penso a chi si sta laureando per via telematica o agli studenti che sognavano tanto questo giorno e non lo potranno vivere. Penso a chi sta cercando casa o si è trovato senza lavoro e ora non sa come arrivare a fine mese.
Spero che potremo tornare a vivere. Come prima o meglio di prima. Questo lo decideremo noi.
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