Coronavirus, diario dalla bergamasca
Sono giorni di apnea a Bergamo e nella sua provincia. Soprattutto da quando i numeri dei contagi per Coronavirus e dei decessi hanno subito un’impennata vertiginosa. L’ospedale Papa Giovanni XXIII è allo stremo delle forze ed è stato lanciato un appello affinchè medici da altre regioni del Paese possano venire a dare una mano negli ospedali che sono quasi al collasso. I posti nella terapia intensiva sono praticamente finiti e alla fine è stato approvato dalla Regione il progetto di costruire un ospedale da campo nella zona della Fiera di Bergamo, donato dall’ANA (Associazione nazionale alpini).
I bergamaschi hanno capito la gravità della situazione e le foto che arrivano soprattutto dalla città ritraggono strade deserte. Bergamo è in lutto, per tutte le vittime di queste settimane e continua a sperare che tutto finisca il prima possibile.
È finita la seconda settimana a casa, inizia ora la terza. Sono riuscita a mantenere il mio buon proposito di provare a fare qualcosa di positivo e nuovo tutti i giorni, ma non è facile. Ci sono stati dei momenti in questi giorni in cui mi sono sentita davvero in difficoltà, persa. Comincio davvero a sentire la mancanza vera delle persone che mi stanno accanto solitamente e che non sono con me ora. Ogni videochiamata è una boccata d’ossigeno, il momento della giornata in cui ricarico le pile. È creando dei piccoli momenti di felicità che riesci a convincerti che questa situazione avrà una fine e che “tutto andrà bene”.
Quindi diventi creativo per forza di cose e ti inventi degli appuntamenti fissi settimanali o giornalieri. Ad esempio, con la mia famiglia abbiamo istituito l’aperitivo casalingo del sabato sera, per il quale ognuno contribuisce con bevande o cibo preparati il giorno stesso. Io e i miei amici dell’università, nell’attesa di vederci dal vivo, organizziamo delle rimpatriate per la merenda della domenica e ci aggiorniamo sulla settimana passata e ricordiamo i momenti felici insieme promettendocene al più presto di nuovi. Con il mio ragazzo, invece, abbiamo istituito che il martedì e il giovedì pomeriggio per un’ora facciamo lezione di tedesco. O meglio, dato che lui sta imparando il tedesco facciamo solo un po’ di conversazione via Skype.
Tutto procede, quindi, in una nuova veste. Sono certa che quando l’emergenza finirà saremo tutti diversi, io in primis. Più consapevoli, spero, di ciò che ci circonda nella quotidianità e più sicuri di cosa è per noi importante. Perché è proprio vero che in questa assurda situazione ci siamo dentro tutti.
La settimana che sta per arrivare sarà quella decisiva probabilmente e questo carica ancora più di aspettative il tempo che verrà. Cerchiamo di essere il più sereni e positivi possibili, ma vivere con la paura che qualcuno che ami possa stare male e rischiare la vita è davvero dura. Se la tua amata città e già alcuni conoscenti sono coinvolti lo è ancora di più. È quasi più assordante il silenzio che ci circonda ora, che il rumore della vita frenetica abituale. Si sentono solo le sirene delle ambulanze che sfrecciano sulle strade principali.
Bergamo è in ginocchio, non giriamoci attorno. E l’immagine dei camion che trasportano le bare in altre regioni lo dimostra e continua a devastarci. Ma è arrivata la primavera e la vita, in qualche modo, continua.