Corleone, un rogo e la speranza di rinascita

Nel paese alle porte di Palermo, che ha dato i natali a numerosi esponenti di Cosa Nostra, un attentato incendiario ha distrutto il portone di una chiesa nel giorno della festa del patrono san Leoluca. Un segnale inquietante nella «città dalle cento chiese» che vive la stagione del riscatto. La chiesa locale ha avviato, con i fondi dell’8 per mille, progetti  di crescita culturale, professionale e lavorativa per «giovani in condizioni di svantaggio sociale, donne e disabili, attraverso la valorizzazione e la gestione del patrimonio storico-artistico monumentale della Diocesi»
Corleone

Corleone. Le fiamme sono state appiccate all’alba, alle 5 del mattino. Nel giorno della festa del patrono, san Leoluca, un incendio doloso ha distrutto il portone d’ingresso della chiesa di sant’Agostino. Una coincidenza che non può essere casuale, un segnale che non può passare inosservato.

Siamo a Corleone, in provincia di Palermo, città simbolo di Cosa Nostra. A Corleone sono nati numerosi padrini di mafia, da Totò Riina, a Bernardo Provenzano, a Leoluca Bagarella, di Michele Navarra a Luciano Liggio, ma qui è nato ed è morto anche Placido Rizzotto, il sindacalista che pagò con la vita il suo tentativo di difendere i contadini e di opporsi allo strapotere criminale. Alla sua morte assistette, in maniera inconsapevole, il pastorello Giuseppe Letizia. Il piccolo morì l’indomani in ospedale: una morte misteriosa. L’ospedale era guidato dal medico Michele Navarra, luogotenente di Riggio.

Se le mura di Corleone potessero parlare racconterebbero storie difficili e sanguinarie: vendette, eliminazioni, omicidi, guerre di mafia. Ma racconterebbero anche storie di riscatto sociale, di voglia di legalità, di ricominciare una vita normale. Nonostante la mafia. Nonostante Cosa Nostra. La chiesa è in prima linea e più volte l’arcivescovo di Monreale, Michele Pennisi ha preso posizione. La storia di Pennisi parte da lontano, fin da quando, nella sua diocesi di provenienza, Caltagirone, disse “no” ai funerali per i boss e negò la possibilità ai boss di fare a padrini nei battesimi. Numerosi sono stati i segnali lanciati anche da vescovo, sia di Piazza Armerina che a Monreale. Nel maggio scorso, ricordando l’anniversario della strage di Capaci, Pennisi disse: «La mafia, che pensava di vincere uccidendo i servitori dello Stato, da quel momento è stata sconfitta, perché non ha avuto più l’appoggio dell’opinione pubblica».

Il rogo potrebbe essere quindi legato alla vivacità ed al forte impegno della chiesa locale contro la mafia, per la costruzione di una cultura della legalità. Un’altra ipotesi ruota attorno alla disputa per un bene della parrocchia conteso. Ma di certo un attentato simile non potrebbe avvenire senza il consenso esplicito di Cosa Nostra. La presenza di liquido infiammabile, di cartoni e di sacchi di iuta per alimentare le fiamme non lasciano dubbi sull’origine dolosa. le indagini sono già state avviate e i filmarti delle telecamere di videosorveglianza potrebbero dare alcuni elementi.

Il parroco della chiesa, don Luca Leone, ha detto: «Non conosciamo le ragioni di un gesto insensato, che nella festa di oggi ha turbato le celebrazioni liturgiche di San Leoluca. Certamente questo non farà mancare la preghiera per questa città e anche per questi ignoti vandali, affinché per intercessione del Santo Monaco bizantino, il pentimento del male fatto porti frutti nuovi di conversione».

Monsignor Pennisi ha aggiunto: «Corleone ha una ricca tradizione religiosa e culturale e i parroci di questo comune sono fortemente impegnati a indirizzare le nuove generazioni verso la strada della reazione morale alla mafia attraverso una crescita culturale e sociale per sostenere un processo di riappropriazione di una identità positiva». Il presule ha ricordato l’impegno della chiesa di Monreale con il progetto «Questa terra diventerà bellissima» per la rinascita del paese e per «la valorizzazione e gestione dei beni culturali ecclesiali a Corleone per mezzo della Caritas diocesana e in partenariato con Confcooperative». L’obiettivo – si legge nel sito della Caritas di Monreale – è  «sostenere un processo di riappropriazione di una identità positiva da parte degli abitanti di Corleone e di risanamento di ferite identitarie e sociali, generate dalla storia recente che ha legato inesorabilmente il destino di questa comunità alla organizzazione criminale più sanguinaria e feroce che l’Italia post repubblicana abbia conosciuto».

Il progetto, finanziato con i fondi dell’8 per mille, vuole «offrire un’opportunità di crescita culturale, professionale e lavorativa a giovani in condizioni di svantaggio sociale, donne e disabili, attraverso la valorizzazione e la gestione del patrimonio storico-artistico monumentale della Diocesi di Monreale e in particolare del Comune di Corleone. “Corleone città delle cento chiese” possiede beni culturali di eccezionale prestigio, un territorio ricco di beni paesaggistici e naturalistici, si trova sulla Via Francigena e sull’Itinerarium Rosalie. Possiede un parco fluviale con la Cascata delle due Rocche e la Riserva naturale orientata Bosco della Ficuzza – frazione di Corleone». Il progetto avviato dalla diocesi di Monreale potrà «generare un’offerta turistica integrata che consenta a un’attività imprenditoriale nel settore turistico-culturale-naturalistico, di fiorire e quindi di dare risposte occupazionali, sostenibili e legali».

Un nuovo progetto, ma soprattutto un nuovo percorso, una strada che si intraprende in modo forte. Per scrivere pagine nuove della storia di Sicilia. C’è molto entusiasmo, sostegno, speranza attorno a tutto questo.

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