Corinne Bayley Rae: il blues del nuovo millennio

La senti cantare e subito ti viene in mente lei, l’irraggiungibile Billie Holiday; quel timbro soffuso e dolente che sa di superalcolici e tabacco, di bassifondi e struggimenti notturni. La ventiseienne Corinne Bailey Rae, l’ultimo astro nascente della black-music, è arrivata come un fulmine a ciel sereno sugli asfittici mercati di questa stagione col singolo Put your records on: un hit radiofonico che ha sparato il suo album di debutto verso i vertici delle classifiche di mezzo mondo. In lei convivono l’eleganza sinuosa delle grandi cantanti jazz degli anni Cinquanta, la passionalità delle signore del soul dei Sessanta, e il modernismo delle ultime star, Ericah Badu, Alicia Keys e Macy Gray in primis. Il suo curriculum e la sua indole sono comunque piuttosto lontane da quelle di tante tormentate sue regine del passato. Corinne è cresciuta studiando violino classico e letteratura inglese, s’è fatta le ossa e la voce cantando nei locali della sua città, ma anche ascoltando il rock dei Led Zeppelin. Finché, nella primavera dello scorso anno, la multinazionale Emi le ha offerto un contratto dandogli la possibilità di entrare in sala d’incisione. Questo omonimo debutto è uno di quei dischi che potremmo definire bipartisan: in grado cioè di intrigare le orecchie dei trendysti dell’hip-hop e quelle dei tradizionalisti del soul, i diciottenni dei dancefloor, e i cinquantenni ancora innamorati di Aretha e delle altre stelle della Motown Records. Fin dal primo ascolto l’album va giù che è un piacere, e funziona tanto come sottofondo per una serata di chiacchiere tra amici, quanto per creare l’atmosfera adatta per riflessioni in solitudine: Essendo un’opera prima, c’è dentro un po’ di tutto – ha affermato di recente – È rilassante, acustico, e pieno di sentimento . Noi aggiungiamo che la dolcezza dell’involucro non mortifica la profondità – l’anima, verrebbe da dire – di ciascuna delle undici tracce. Il fatto che nelle vene della Bailey scorra sangue indiano è tutt’altro che irrilevante, e rende l’idea di quanto in Inghilterra come nel resto dell’Occidente, il melting- pot interrazziale sia ormai un coadiuvante capace di rendere più naturale qualunque tipo di contaminazione stilistica. Anche se in fondo ciò che Corinne propone non è altro che il sempiterno blues, semplicemente riveduto alla luce del nuovo Millennio: e se quello primigenio traeva la sua linfa dal dolore di un popolo vilipeso d a l l ‘ e m a r g i n a z i o n e schiavista, qui sembra piuttosto dar voce al senso di frustrazione e di marginalità di tanti immigrati terzomondiali non ancora integrati. Anche quando, allora come oggi, canta solo d’amore. Difficile dire se l’indimenticabile Lady Day lo canterebbe proprio così, ma è probabile che Corinne sarebbe piaciuta anche a lei… CD Novità Francesco De Gregori Calypsos Sony-Bmg Un disco più semplice e diretto del solito, capace di dire cose profonde senza annoiare.Sorprende positivamente la solarità quasi naive dei registri, e l’utilizzo di certi gustosi coretti gospel. Probabilmente non verrà ricordato tra i suoi capolavori assoluti, ma come l’onesta opera d’un artigiano d’ingegno. Blackmore’s Night The village Lanterne (Edel) Il mitico leader dei Deep Purple ha da tempo scelto di virare dal rock al folk. Con la complicità della moglie, la leggiadra vocalist Candice Night, Ritchie e la sua Stratocaster si cimentano con melodie celeberrime (come la rivisitazione della sua Child in time o Streets of London di Ralph McTell), miscelando con sapienza e buon gusto aromi ruspanti, energia, e spezie pop. E il cocktail che ne risulta è davvero niente male. f.c.

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