Corazzo, dove iniziò Gioacchino da Fiore

Partono i restauri di un gioiello da scoprire: la storica abbazia dove il grande mistico e teologo calabrese vestì il saio
Santa Maria di Corazzo
Ruderi dell'abbazia di Santa Maria di Corazzo (CZ)(Foto di: utente che ha caricato in origine il file è stato Franko24 di Wikipedia in italiano - Trasferito da it.wikipedia su Commons da Michiel1972 utilizzando CommonsHelper., CC BY-SA 3.0, Wikimedia commons)

A volte basta anche un solo volenteroso per mantenere vivo un sito in stato di abbandono. L’avevo già costatato al passo della Limina, al confine tra l’Aspromonte e l’altro sistema montuoso delle Serre, dove padre Ernesto Monteleone è diventato un riferimento per molti escursionisti che salgono al suo eremo sorto sopra i resti di una chiesetta bizantina. Ed oggi si verifica – sempre in Calabria – con la signora Silvana Amoroso, guida volontariaa Santa Maria di Corazzo, in un’antica abbazia incastonata tra i castagni e le querce di una valletta dell’altopiano pre-silano catanzarese in prossimità del fiume Corace. Se non ci fosse lei a illustrare queste mura ai visitatori attirati dalla suggestione romantica del sito, esse rimarrebbero mute. E invece ne hanno di storia da narrare.

Fondata dai normanni nell’XI secolo, forse su un precedente monastero di rito basiliano, la primitiva abbazia benedettina fu un centro di diffusione di quello latino e, con la costruzione di un mulino ad acqua e di impianti per la lavorazione della lana, un importante polo produttivo. Nel XII secolo venne ricostruita dai cistercensi, grazie ai quali arrivò ad essere una delle più importanti strutture economiche, culturali e religiose dell’intera Calabria. Oltre alle opere d’arte e ad una ricchissima biblioteca, custodiva importanti reliquie dalla Terra Santa, probabilmente portate fin qui dai Cavalieri Templari. Poi il lento declino. Già danneggiata una prima volta dal sisma del 27 marzo 1638, l’abbazia fu definitivamente distrutta dal nuovo terremoto del 1783, fenomeno di una violenza inaudita che devastò buona parte della regione.

La vicenda secolare di questo complesso termina nel 1808 con la sua soppressione per decreto reale e il trasferimento dei monaci superstiti a Cosenza. Oggi dell’enorme fabbrica che su tre piani, che doveva ospitare centinaia tra religiosi e laici, rimangono solo ruderi che risulterebbero ancora più grandiosi se futuri scavi riportassero al livello originario il piano di calpestio, oggi rialzato di quasi due metri dai detriti e dai depositi alluvionali accumulatisi nei secoli.

Gioacchino da Fiore
Gregorio Vasquez de Arce y Ceballos, Gioacchino da Fiore mostra i ritratti di San Domenico di Guzmán e San Francesco d’Assisi, particolare, 1680; olio su tela, Museo de Arte Colonial, Bogotá (Colombia) (Foto di Google Arts & Culture, Pubblico dominio, Wikimedia commons)

La storia di Santa Maria di Corazzo si incrocia con quella di Gioacchino da Fiore, che qui vestì l’abito monastico, divenendone nel 1177 abate suo malgrado: più che a governare, infatti, ambiva a studiare la Bibbia e a dedicarsi alla scrittura. Fu qui che il calabrese «di spirito profetico dotato», come lo descrisse Dante, compose alcune delle sue opere maggiori, dettandole agli amanuensi Nicola e Giovanni. E proprio quest’ultimo gli successe come abate quando nel 1188, a causa del malcontento suscitato dalle sue frequenti assenze dal monastero, Gioacchino fu sollevato dal proprio incarico da Urbano III e dallo stesso papa autorizzato a continuare a scrivere. Da Corazzo il già famoso mistico e teologo si trasferì nella più tranquilla Pietralata, località ancora da identificare; risalito successivamente in Sila con numerosi discepoli, nella primavera del 1189 fondò nel sito dell’attuale San Giovanni in Fiore un nuovo ordine contemplativo: la Congregazione Florense, approvata da Celestino III nel 1196.

A lungo mi soffermo ad esaminare le poderose mura della sua prima abbazia. Prive ormai di intonaci, con la messa a nudo di pietre e ciottoli provenienti da una cava dei dintorni e dal vicino fiume presentano una preziosa tessitura le cui cangianti sfumature di grigio farebbero la gioia di un pittore.

Dalla frazione Castagna, dove risiede, la signora Amoroso viene regolarmente qui a far di guida: vedova del poeta, scrittore e studioso di storia medievale e risorgimentale Salvatore Piccoli, svolge questo servizio gratuito con dedizione, per onorare la memoria del marito, che ha tanto amato Santa Maria di Corazzo da dedicarle un volume. A lui oggi è intitolato un premio letterario internazionale.

Nel lato nord del complesso la parte meglio conservata è costituita dalla chiesa a croce latina, aperta all’aria e alla luce dopo il crollo della volta. Ora che i marmi policromi e le opere artistiche sono andati in parte ad arricchire alcune chiese del territorio, questa sua nudità esalta al massimo le nobili architetture settecentesche. Sotto i poderosi contrafforti ad arco esterni, aggiunti tra il XVII e il XVIII secolo a sostegno della navata sinistra, la gentile guida mi indica lo stretto passaggio dal quale venivano fatte uscire dalla chiesa le salme da tumulare nel sottostante cimitero: è la cosiddetta “porta dei morti”.

Da un’altra porta sulla navata destra, invece, si accede al lato sud dove si sviluppano in modo razionale i vari ambienti del monastero: sala del capitolo, refettorio, cucina, infermeria, dormitorio… Uno di essi reca sul muro tracce evidenti di un monumentale camino: qui, spiega la Amoroso, i monaci si riunivano nei giorni particolarmente freddi per meditare, leggere o, se amanuensi, preparare gli inchiostri, le pergamene e sfruttare il calore per sciogliere i colori.

Corazzo
Abbazia di Santa Maria di Corazzo (Foto di Ferdinando Chiodo, opera propria, pubblico dominio, Wikimedia commons)

E poi il chiostro, vero fulcro della vita monastica: uno spazio che in occasione di eventi artistici si affolla di presenze, in aggiunta ai pellegrini che convergono qui il 10 settembre per l’annuale celebrazione in onore della Madonna di Corazzo.

Una novità riguarda il progetto di restauro e consolidamento di questo bene culturale fortemente voluto dall’amministrazione del Comune di Carlopoli del cui territorio fa parte l’abbazia e finalmente approvato dopo il parere favorevole della Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio delle provincie di Catanzaro e Crotone. La soluzione progettuale individuata risulta perfettamente rispettosa del rudere nella sua consistenza originaria e nel suo suggestivo inquadramento paesaggistico. Il via ai lavori entro questo mese di aprile.

Nell’attesa di veder valorizzata questa gemma dell’altopiano pre-silano del Reventino, sono andato a rileggermi la bellissima biografia romanzata di Gioacchino da Fiore, L’aquila e la cetra, pubblicata dalle Edizioni Messaggero Padova. L’autore, Rocco Giuseppe Greco, ripercorre l’intera parabola del fondatore florense attraverso il personaggio del già citato frate Nicola, cominciando appunto dal periodo di Corazzo. Sconvolto dalla condanna inflitta nel 1215, per un equivoco, dal IV Concilio Lateranense al suo abate (condanna poi annullata da papa Innocenzo III), l’antico suo segretario e copista ricorre alla penna per confutare i diffamatori di Gioacchino e testimoniarne la sapienza, la santità e l’ardente desiderio di mantenersi fedele agli insegnamenti della Chiesa. Un’opportunità per conoscere il pensiero genuino gioachimita attraverso brani stupendi di sue opere, oggi per lo più conosciute da specialisti.

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