Il coraggio di Lea Garofalo
Dieci anni fa moriva Lea Garofalo: il 24 novembre del 2009 veniva assassinata barbaramente dalla ‘ndrangheta. Aveva denunciato il suo compagno Carlo Cosco, che per conto dei clan calabresi spacciava droga a Milano. Aveva tradito, secondo la famiglia di lui, e secondo la logica perversa della mafia; perciò, dopo che le fu ucciso il fratello, colpevole, secondo l’organizzazione criminale, di essersi rifiutato di eliminarla lui stesso, Lea fu fatta sparire, uccisa, ridotta in pezzi e poi bruciata. Infine ricoperta di asfalto, dopo che del suo corpo era rimasto ben poco.
È una storia terribile quella di Lea Garofalo, ma è anche una storia di coraggio estremo, un esempio solare, potente, di capacità di rompere con il male, di lottare contro il ciclo di morte che ogni potere mafioso costruisce. È una vicenda di cui è necessario, doveroso, tenere viva la memoria, e per farlo si può partire da un film, un film per la tv, un film asciutto, tirato, pregevole, dove il commento musicale è quasi azzerato, così come ogni forma di lievito cinematografico, perché la storia è talmente parlante, talmente comunica da sé, nel suo essere dolorosa, tragica, che l’unico lavoro da fare – unico tra virgolette – diciamo il dovere principale del regista, era quello di restituire la forza dei fatti. E questo, il film Lea, di Marco Tullio Giordana, trasmesso su Rai Uno il 18 novembre del 2015, ma disponibile ancora su Raiplay – chi non lo ha visto lo recuperi – lo fa benissimo: ricostruisce, con linearità cronologica, con una sorta di paratassi efficace, basandosi sui materiali dell’inchiesta e gli atti del processo – secondo la tradizione del miglior cinema di impegno civile italiano – il ritratto di una donna che volle essere libera e stare dalla parte dei giusti e della verità.
Per questo, con sua figlia Denise (nel film interpretata da Linda Caridi), una figlia profondamente amata, sanamente amata, Lea (Vanessa Scalera) iniziò un calvario in giro per l’Italia sotto il programma di protezione testimoni, alle prese, purtroppo, con uno Stato non sempre all’altezza della situazione, visto che tra intoppi burocratici e superficialità, Lea e Denise si ritrovarono sole tra i tentacoli della cosca, come in un tragico giro dell’oca nuovamente costrette a tornare nel piccolo paese di origine, tra le braccia nemiche di quella cultura malata in cui Lea stessa era cresciuta, visto che suo padre, quando lei aveva appena un anno, venne ucciso per la strada di quel borgo tra i monti della Calabria.
Il ritratto di Lea Garofalo modellato da Giordana è quello di una donna normale e insieme eccezionale, figlia e insieme vittima di un mondo arcaico, con un carattere non edulcorato e la forza immensa di affrontare a viso aperto le anime nere della ‘ndrangheta, per citare un bel film recente sull’argomento: quello di Francesco Munzi del 2014. «Alla fine ho inserito veri documenti del funerale con l’intera città mobilitata – spiegò Giordana in un’intervista al Corriere della sera – perché l’eloquenza di quelle facce ed espressioni non si poteva replicare: volevo fosse chiaro che avevamo raccontato una storia vera».
Una storia vera come quella di Peppino Impastato, raccontato dallo stesso regista molti anni prima, anche lui, Impastato, capace di rompere con la propria cultura di appartenenza e con la propria famiglia, per liberarsi e liberare altre persone da un sistema ingiusto e distruttivo. Anche lui costretto a un tragico sacrificio, reso meno vano anche dal cinema, grazie alla forza di un film come I cento passi, che proprio Lea, raccontò sempre Giordana, fece vedere alla figlia, dicendo che avrebbe fatto la stessa fine del protagonista. Aveva tristemente ragione, ma il suo coraggio non è venuto meno, ed è stato trasmesso anche a Denise, che dopo l’uccisione a Milano della madre, attirata al Nord con l’inganno da quel padre criminale, rimase tra gli assassini, d’accordo coi carabinieri, per raccogliere prove e dare un significato definitivo alla scomparsa di sua madre.
E se Lea riporta a I Cento passi, Denise, che dopo il processo in cui suo padre venne condannato all’ergastolo insieme ad altre tre persone vive ancora da sorvegliata speciale per motivi di sicurezza, rappresenta quella Meglio gioventù già raccontata da Giordana, capace di dare speranza per il futuro, di lottare contro mostri giganti difficilissimi da sconfiggere, ma di certo esempi come quelli di queste due donne danno forza e fiducia. Disse Don Ciotti, al funerale di Lea Garofalo, voluto a Milano proprio da Denise: «Lea, hai seguito la tua coscienza per rompere un codice di odio e di mafiosità. Hai condotto con le tue piccole, grandi forze la tua scelta di libertà. Lea, hai visto, sentito e testimoniato». Don Ciotti, che nel film nel film è interpretato da Diego Ribon, conobbe Lea Garofalo e Giordana, sempre nell’intervista citata, ricorda dialoghi con il sacerdote fondatore di Libera, il quale gli parlava della crisi in cui vengono messe le leggi non scritte della ‘ndrangheta proprio attraverso gesti di rottura come quello di Lea, e aggiungeva che dopo quella terribile storia è stato avvicinato da molte donne terrorizzate, che grazie al gesto di questa ragazza avevano preso coraggio.