Il coraggio e la pazienza di Matteo Berrettini
Essere il quarto italiano della storia ad entrare nel gotha del tennis (dopo Panatta, Barazzutti e Fognini) è un evento di per sé eccezionale. Farlo quando si ha ancora un bel pezzo di carriera davanti rappresenta una sorta di investitura. Matteo Berrettini fa parte dei migliori 10 del circuito internazionale ATP, esattamente alla stessa età in cui ci riusciva Adriano Panatta. Un parallelismo niente male tra i due atleti romani: il secondo ha raggiunto il traguardo nel 1973, tre anni prima di toccare il culmine della sua carriera vincendo il Roland Garros contro lo statunitense Harold Solomon.
Il nono posto, raggiunto ufficialmente da Berrettini quest’oggi, è il riconoscimento a un’annata da urlo. Lo scorso 28 aprile, infatti, è arrivata la sua seconda vittoria in un torneo ATP, conquistata all’Hungarian Open. Risultato replicato il 16 giugno alla Mercedes Cup di Stoccarda, sull’erba. L’apoteosi, poi, è stata raggiunta allo US Open: un torneo giocato in maniera impeccabile dall’italiano, con una corsa interrottasi solamente in semifinale di fronte alla smisurata forza e all’esperienza di Rafael Nadal. L’obiettivo del tennista italiano, adesso, è quello di acciuffare il pass per partecipare alle Finals di Londra: il torneo che mette l’uno di fronte all’altro i migliori 8 del mondo.
«Sono in ballo per questo traguardo – ha precisato l’atleta ai microfoni di Sky Sport –, una cosa che prima era impensabile. Devo abituarmi un po’, perché non era un obiettivo prefissato a inizio stagione». Piedi per terra e grande umiltà. Sembra essere questo il segreto dell’esplosione di un Berrettini che afferma come anche i ko più netti gli siano servite da insegnamento. «Contro Federer (ko agli ottavi di Wimbledon, ndr) ero molto emozionato, facevo fatica a rendermi conto di ciò che stava succedendo. Mi dava fastidio su tutti i piani, perché a livello tecnico sa fare qualsiasi cosa. Con Nadal ero un po’ più pronto, sapevo come fargli male. Devi sempre passare dalle sconfitte pesanti: ho cercato di imparare molto».
La carriera da tennista di Berrettini è cominciata nella sua Roma, all’interno del Circolo Aniene. È stato però suo fratello Jacopo (più piccolo di due anni) ad essere decisivo nel fargli intraprendere questa strada già in tenera età. «Quando avevo 3-4 anni – ha dichiarato il tennista in una intervista al Messaggero –, ho cominciato a giocare con le palline di spugna, ma non mi piacque molto. Jacopo mi ha spinto a riprovare e da lì non ho più smesso. Il nostro è un rapporto molto forte, ci siamo sempre aiutati l’un l’altro: è stato un lungo percorso fatto insieme, a lui tengo tantissimo».
Maturare in tranquillità ed essere consapevole dei propri mezzi rappresenta un elemento imprescindibile per fare sport ad alti livelli. «Da piccolo – afferma Berrettini – non ero tra i primi d’Italia. Ho avuto tempo e modo per lavorare senza fretta e soprattutto senza quella pressione che da giovani pesa molto. La maturazione mentale è fondamentale: solo dopo puoi pensare a risultati importanti». Per lui, definitosi un ragazzo molto sensibile, l’equilibrio interiore è fondamentale: «Mi piace entrare nelle cose, voglio capire il da fare. Forse dovrei essere più rilassato – ammette l’atleta –, ma riesco a scavarmi dentro, trovando energie interiori che mi fanno superare i momenti difficili».
Il traguardo delle ATP Finals di Londra sembra veramente a un passo. «Solo parlarne – conclude il tennista – mi fa sorridere. Mi fa piacere, ma non giocherò per quello: vado avanti per la mia strada, lavorando e spingendo forte». Una ricetta vincente, a quanto pare. Dopo Adriano Panatta nel 1975 e Corrado Barazzutti nel 1977, infatti, l’ultimo atto stagionale sembra a portata di mano per il nuovo fenomeno del tennis italiano.