COP29 in Azerbaigian, un difficile cammino

La Conferenza sul cambiamento climatico si è aperta tra molte criticità e poche aspettative. Pesano le lobby del fossile e l’orientamento esplicito della nuova presidenza Usa. Il monito di papa Francesco, Guterres e Yunus
COP29 in Baku, Azerbaijan EPA/IGOR KOVALENKO

Lunedì 11 novembre si è aperta la Conferenza delle Parti (COP) numero 29 a Baku, in Azerbaigian. La conclusione è fissata per il 22 novembre, ma è sempre una data indicativa, perché per chiudere gli accordi serve qualche giorno in più. Le aspettative sono limitate e le criticità molte. Diversi esperti ed analisti la considerano una COP interlocutoria per la prossima COP30 che si terrà a Belém, in Amazzonia. Il Brasile, infatti, è il Paese da cui tutto è iniziato con il Summit della Terra di Rio de Janeiro del 1992.

Azerbaigian, come Egitto ed Emirati Arabi Uniti
Il Paese guidato dal regime di Ilham Aliyev non tollera la libertà di espressione del dissenso. Succeduto al padre Heydar nel 2003, è stato eletto presidente per la quinta volta quest’anno. Come l’Egitto, che ospitò la COP27, e gli Emirati Arabi Uniti che ospitarono lo scorso anno la COP28, sono tutti Paesi autoritari in cui non è possibile manifestare liberamente, se non all’interno dell’area della COP, il dissenso.

Inoltre, si può trattare per la fine della produzione di energia da fonti fossili, se l’Azerbaigian estrae e vende petrolio e deve la sua ricchezza all’uso delle fonti fossili?

La presidenza “fossile”
La presidenza di questa COP29 è guidata da Mukhtar Babayev, ministro dell’Ambiente e delle Risorse naturali dell’Azerbaigian dal 2018 ed ex dipendente della SOCAR, la società statale produttrice di petrolio e gas naturale. L’amministratore delegato della COP29 è Elnur Soltanovmembro del Consiglio di Sorveglianza della SOCAR per nomina del presidente della Repubblica dell’Azerbaigian il 23 gennaio 2021, oltre ad essere vice ministro dell’Energia. La commistione di interessi si è resa evidente con la rivelazione della BBC: in una registrazione riservata promuoveva presso un potenziale investitore le “opportunità di investimento” offerte dalla SOCAR.

Il contesto internazionale in profonda crisi non aiuta
La guerra di invasione dell’Ucraina da parte della Russia del 2022, quella condotta da Israele dopo il 7 ottobre 2023, la lunga guerra nella Repubblica Democratica del Congo, iniziata nel 1994 e passata attraverso la prima guerra mondiale africana (1996-2004), hanno destabilizzato le relazioni internazionali con la morte di centinaia di migliaia di esseri umani e la distruzione e depredazione della risorse naturali. La stessa contrapposizione fra G20 e BRICS sta creando un contesto sfavorevole ad accordi internazionali.

In questi giorni si è aggiunta allo spostamento politico dell’Europa su posizioni populiste e scettiche verso la crisi ecologica, l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti, che pesa come un macigno sulla COP29. Trump ha annunciato che fra i primi atti che firmerà ci sarà iritiro della firma dall’Accordo di Parigi del 2015. Se gli USA si svincoleranno da qualsiasi impegno per la riduzione delle emissioni di gas serra e da altri impegni per il contrasto ai cambiamenti climatici ed il contrasto alla crisi ecologica, il rischio del fallimento del sistema multilaterale delle COP è molto alto.

Assenti molti leader politici
Il macigno più grande sulle possibilità di accordi importanti durante la COP29 è l‘assenza dei leader dei principali Paesi responsabili delle emissioni di CO2 (Cina, Stati Uniti, Russia, India, Europa ed UE).

Il presidente Biden non sarà presente in quanto impegnato in un tour in Brasile e Perù tra il 14 e il 19 novembre, ed anche la vice-presidente Harris non sarà presente, al contrario di quanto successo alla COP28. Il presidente francese Emmanuel Macron non parteciperà, anche per la posizione francese sul conflitto in Nagorno-Karabakh a sostegno degli armeni ed ha una posizione critica con l’Azerbaigian. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz non sarà presente per affrontare la crisi della coalizione di governo, come la stessa presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, in quanto impegnata con la formazione della nuova Commissione UE.

Mancheranno i leader politici dei due maggiori paesi asiatici: il cinese Xi Jinping e l’indiano Narendra Modi. Neanche Luiz Inacio Lula da Silva ci sarà, nonostante il Brasile ospiterà la prossima COP30.

I temi principali da trattare
Le questioni principali su cui si lavorerà per cercare di ottenere dei risultati per la COP30 di Belém sono principalmente due:

Guterres, papa Francesco, Yunus: lo “spirito” della COP
Guterres ha subito parlato nel suo discorso del 12 novembre del poco tempo che abbiamo per agire. Il ticchettio di un orologio scandisce inesorabilmente il tempo rimasto. Ha ribadito per l’ennesima volta che ognuno deve fare la sua parte, ma i paesi sviluppati devono condividere le proprie conoscenze, risorse e know-how con i paesi in via di sviluppo. La sensazione, però, è che ci sia la consapevolezza che ci si trovi all’inizio di un periodo buio, perché ha concluso spendendosi per chiarire che investire nei cambiamenti climatici è conveniente per tutti, soprattutto per l’umanità, perché sono un volano economico per uscire dalle crisi che stiamo attraversando.

Lo ha ripetuto, nel messaggio inviato da papa Francesco, il cardinale Parolin. Gli accordi non sono atti di generosità, ma gesti di giustizia: «La salvaguardia del creato è una delle questioni più urgenti del nostro tempo. Dobbiamo anche riconoscere che è strettamente interrelata alla salvaguardia della pace».

Lo stesso Yunus, uno dei leader politici del nuovo Bangladesh e banchiere che ha promosso una banca per sostenere gli ultimi, ha condannato l’atteggiamento egoista dei Paesi occidentali, prendendo la parte dei Paesi in via di sviluppo, che dopo aver subito gli effetti coloniali dello sviluppo ora devono contribuire economicamente a sistemare i problemi che loro non hanno causato.

La COP29 e la posizione occidentale
Il risultato di questa conferenza delle parti è già fortemente influenzato dalla presidenza Trump, ancora non insediata, e il nuovo atteggiamento dei movimenti sovranisti è ben sintetizzato dall’intervento alla COP29 della presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni: «al momento non c’è alternativa ai combustibili fossili, dobbiamo avere una visione realistica. Abbiamo bisogno di un equilibrio e di un processo di transizione, dobbiamo usare tutte le energie a nostra disposizione, non solo le rinnovabili, anche i bio carburanti e la fusione nucleare».

La fusione nucleare è una tecnologia che necessita almeno di altri 25 anni per essere messa in produzione. Tranne se non si dirottano altre risorse verso lo sviluppo di questa tecnologia sottraendole, ad esempio, alla ricerca e produzione militare, scoraggiando quella escalation bellica che è il frutto anche dell’attuale crisi ecologica.

Si apre, quindi, alla fusione nucleare, ma molti nel mondo pensano che sia necessario utilizzare le attuali centrali nucleari per alimentare quel turbo-capitalismo che nessuno vuole rinnegare. Un capitalismo energivoro e finanziario che è alla base della crisi ecologica e climatica attuale.

Aspettative da Baku
Il messaggio chiaro è che, se non si cambia registro come chiedono Guterres e molti altri, nulla potrà cambiare nel prossimo futuro. Si assisterà, nonostante le numerose tragedie naturali, ultima quella di Valencia, ad un crescendo di crisi. Proprio quelle che la Conferenza delle Nazioni Unite su sviluppo ed ambiente di Rio de Janeiro, del 1992 voleva evitare attraverso il meccanismo dei trattati internazionali, gli accordi ed i negoziati continui attraverso le conferenze delle parti. Vedremo dall’esito della Conferenza di Baku cosa ci aspetterà in Brasile nel 2025.

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