Cooperazione allo sviluppo per una condivisione dei destini

Aspetti qualificanti e punti da chiarire nella nuova legge, attesa da 27 anni, sulla cooperazione internazionale. Quest'ultima deve diventare parte integrante della politica estera del Paese, ma non in modo asimmetrico, bensì come co-sviluppo e partenariato paritario
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L’Italia si è dotata, dopo 27 anni, di una nuova legge sulla cooperazione allo sviluppo. Ce n’era bisogno? Direi di sì. Nella nuova realtà globale, con nuovi attori non governativi, con i cambiamenti verificatisi nella struttura del sistema internazionale, che ha visto paesi destinatari di aiuto trasformarsi in donatori (è ad esempio il caso del Brasile), con i nuovi metodi di erogazione, gestione e valutazione degli aiuti internazionali, il quadro normativo esistente andava indubbiamente aggiornato.

I punti qualificanti della nuova legge si possono riassumere in cinque elementi:

•         l’identificazione chiara della responsabilità politica nella figura di un Viceministro della cooperazione allo sviluppo, con piena delega sull’intera materia;

•         la creazione di un Comitato interministeriale per la cooperazione allo sviluppo con il compito di assicurare la programmazione ed il coordinamento di tutte le attività di aiuto pubblico allo sviluppo;

•         il consolidamento istituzionale dei poteri d’indirizzo e di controllo del Parlamento sulle strategie, le politiche e le attività di cooperazione allo sviluppo;

•         l'istituzione di un Consiglio nazionale per la cooperazione allo sviluppo, formato dai principali soggetti pubblici e privati, impegnati sia in termini di donazioni che di attività economiche; in pratica, uno strumento di partecipazione, consultazione e proposta su tutti i temi relativi alla cooperazione.

•         la nascita di un’Agenzia per la gestione e l’attuazione degli interventi di cooperazione, con caratteri di snellezza, competenza ed efficienza.

Molti sono i progressi contenuti nel nuovo quadro normativo. È importante segnalare ad esempio il ruolo del Parlamento nella indicazione delle linee direttrici dell’aiuto pubblico allo sviluppo, come pure la maggiore coerenza in termini di indirizzo politico, che dovrebbe essere assicurata dal coinvolgimento diretto di tutti i ministeri interessati, sotto la guida di un viceministro degli esteri.

La dispersione della responsabilità politico-istituzionale in una congerie di soggetti è in effetti uno dei problemi sorti negli ultimi anni. Non è ancora dato sapere, tuttavia, se la cosiddetta “cooperazione decentrata”, facente capo a regioni e enti locali, potrà davvero essere ricondotta in tempi rapidi in una cornice di interventi unitari dell’Italia come soggetto pluralista di cooperazione internazionale.

Ugualmente complessa è la compresenza di interventi di aiuto pubblico allo sviluppo basati sulla gratuità − sia pure in termini strutturati e a seguito di una seria programmazione − e altri che rispondono a logiche di investimento, sia di operatori pubblici che privati.

Uno degli obiettivi che molti Paesi perseguono si riassume nell’approccio organico e globale alla cooperazione internazionale, ma il problema è che la distinzione dei ruoli e delle modalità operative non è sempre facilmente risolvibile. Pensiamo ad esempio agli interventi di aiuto internazionale che si svolgono nel contesto di operazioni militari, sia pure qualificate in termini di peace-building. Le diversa natura di tali attivitá va salvaguardata, pur considerando tutte le possibili sinergie.

Più in generale, occorre inserire la cooperazione internazionale nel contesto della politica estera del Paese, come sua parte integrante, ma non in termini di subordinazione. Come ha affermato il Viceministro Lapo Pistelli, la politica di cooperazione non deve essere solo parte integrante della politica estera dell’Italia, ma anche e soprattutto sua parte “qualificante”.

Qualche anno fa, il Dipartimento di Stato americano, sotto la guida del capo dell’unita di analisi, la politologa Anne-Marie Slaughter, propose la revisione del concetto strategico della politica estera degli Stati Uniti, partendo proprio dall’idea di sviluppo: in quel caso, l’impostazione prevedeva non semplicemente che l’aiuto pubblico allo sviluppo fosse parte essenziale della proiezione internazionale degli Stati Uniti, ma che addirittura fosse la stessa politica estera un’espressione dell’obiettivo più generale di promuovere uno sviluppo equilibrato e sostenibile, specie nelle aree più svantaggiate del mondo. Un’intuizione da recuperare, in tutta la sua valenza politica.

Non dobbiamo inoltre dimenticare che una delle forme di cooperazione più efficace può essere rappresentata dalla liberalizzazione dei mercati, consentendo alle importazioni − specie agricole − da aree extra-europee di entrare più facilmente in Europa, nel rispetto ovviamente della qualità e delle salvaguardie sanitarie e sociali. Simmetricamente, il graduale abbandono, giá in corso nell’Unione Europea, dei sussidi alle esportazioni agricole può essere un altro elemento di riequilibrio.

Una cooperazione davvero efficace ha un ruolo da svolgere anche nel contesto della gestione dei flussi migratori, aggredendo alle radici le cause sia strutturali che contingenti dei movimenti di popolazione, specie nelle aree di crisi e di conflitto. Lo slogan “aiutiamoli a casa loro” è spesso vuota retorica strumentale, perché non accompagnato da politiche conseguenti e stanziamenti significativi. Basti pensare che l’Italia negli ultimi anni è purtroppo scivolata agli ultimi posti, tra i paesi industrializzati, in termini di erogazioni in conto di aiuto pubblico allo sviluppo.

Un orizzonte di cooperazione davvero strategico dovrebbe prevedere il graduale passaggio dall’idea asimmetrica di cooperazione in termini di trasferimenti piú o meno unilaterali a quella del partenariato paritario, in una dimensione che ci consenta di ragionare, in un mondo in cui tutti siamo vulnerabili alle crisi (pensiamo alla situazione dell’Eurozona), con la categoria del co-sviluppo e della condivisione dei destini dei nostri Paesi, in un mondo non solo sempre più interconnesso ma anche sempre più fragile.

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