Cooperare alla fraternità
L’Amu (Azione per un mondo unito) compie 25 anni: tempo di bilanci e di nuovi progetti per l’ong dei Focolari.
Alla sigla ong (organizzazioni non governative) si associano istantanee di sciagure, terremoti, alluvioni seguite a tambur battente da campagne di raccolta fondi, sms di donazioni, partenza di container di cibo e vestiario. La mobilitazione è di massa. Ma cosa accade nei mesi e negli anni dopo, dopo cioè che l’emergenza è uscita dalla piazza mediatica e dalle nostre emozioni? «Allora comincia un lavoro duro, si investe sulle persone, su una ricostruzione rispettosa del territorio, delle tradizioni e non si esporta una solidarietà di stile occidentale»: questa è la filosofia che da 25 anni guida l’Amu (Azione per un mondo unito ‑ Onlus), l’ong – anzi, la Ongs, dove la esse sta per “di sviluppo” – legata al Movimento dei focolari che sui termini “insieme”, “locale” e “duraturo” ha costruito i suoi progetti.
«Una cooperazione sostenibile, realmente utile va progettata e realizzata insieme a chi vive in quel luogo e ne conosce potenzialità e problematiche. Sull’emergenza agiamo, ma in modo marginale. Noi siamo quelli del dopo», commenta Stefano Comazzi, che segue i progetti di sviluppo per Asia, Africa e America latina.
Il 14 gennaio 1986 è la data del battesimo ufficiale dell’Amu. A firmare lo statuto sono in 34. Per la cronaca, qualche mese dopo parte il progetto Magnificat in Brasile, nello stato del Maranhão: un latifondo di oltre duemila ettari, abitato da 130 famiglie di posseiros, contadini senza terra, senza nessun servizio di base, ora invece una comunità agricola fiorente con scuola, presidio medico, attività produttive, un centro sociale e varie abitazioni. Anche qui la parola d’ordine è stata “insieme”: sono state più di 25 mila le donne coinvolte che, attraverso la formazione e il lavoro hanno riacquistato la propria dignità, in uno Stato dove il genere femminile non godeva di alcuna considerazione. Ora una di loro guida il sindacato che all’interno del Consiglio comunale difende gli interessi della comunità.
Per conoscere l’ultimo progetto nato ci trasferiamo in Burundi. Qui un conflitto etnico ha diviso tessuto sociale ed economico. Ricostruire parte, anzitutto, dalla collaborazione con partner locali che hanno individuato cinque linee d’azione: sostegno in campo alimentare e agricolo, accesso all’acqua potabile, prevenzione e lotta all’Aids e alla malaria, microcredito.
Tra questi due traguardi centinaia di azioni che hanno toccato lo sviluppo di attività produttive, la formazione, la ricostruzione e la promozione dei diritti di base. Singolare, il progetto per i pescatori, vittime dello tsunami in Indonesia (vedi Città Nuova 12/2010), mentre nell’ambito dell’istruzione in collaborazione con l’Esa sono partiti programmi di telemedicina e piattaforme di formazione online che hanno sviluppato tecnologie informatiche a servizio di alcune comunità dell’Africa sub-sahariana.
I riconoscimenti pubblici non sono mancati neppure in Italia: l’Amu ha ottenuto l’idoneità dal ministero degli Esteri ed è accreditata dal ministero della Pubblica istruzione per la formazione sui temi della mondialità e dei diritti umani.
Gli scorsi 5 e 6 marzo, in occasione del 25°, l’Amu ha organizzato un congresso internazionale in cui il bene comune è stato declinato in azioni di tutela e riconoscimento dei “beni comuni”, espressione più confinata ai social forum.
«Non è stato un evento celebrativo – spiega Marcella Ferrari, presidente dell’Amu – ma un’occasione per riflettere sulla pluralità dei beni comuni che caratterizzano le nostre società, attraverso l’arricchente contributo teorico di esperti e l’appassionante esperienza di quanti sono riusciti sul proprio territorio a innescare un cambiamento a favore dello sviluppo integrale della persona e della comunità, della tutela dell’ambiente e dei principali diritti umani. Un impegno ora a continuare verso progetti che abbiano sempre più l’orizzonte della promozione dei beni comuni, a partire dal sostegno al prossimo referendum sull’acqua pubblica: un’occasione di partecipazione di tutta la società civile a tutela di un bene comune per eccellenza. Anche se lo scenario nazionale e internazionale non ci incoraggia, il convegno ci ha rinforzato nella convinzione che le persone possono cambiare sé stesse e contribuire insieme alla costruzione di un mondo più unito».
BOX
L’Amu in cifre
Programmi di sviluppo pluriennali realizzati: 26
Microazioni: 302
Paesi coinvolti nei progetti: 47
Agenzie di partenariato locale: 12 tra Asia, Africa, America Latina
Donazioni e contributi: € 1.130.000 annui nell’ultimo triennio di cui 89,60 per cento da privati, 10,40 per cento da enti pubblici
Sostenitori: 2500
Rete Amu in Europa: Amu Lussemburgo e Amu Portogallo