Cooper per terra e per mare

Mia cara Susan, scommettiamo che sarò perfettamente in grado di scrivere un libro perlomeno uguale ai romanzetti sentimentali inglesi che leggi con tanto interesse? . La sfida, pressappoco in questi termini, era lanciata. Ma il risultato, Precaution, pubblicato nel 1820, fu del tutto deludente e venne giustamente stroncato dalla critica. Cosa era saltato in mente a lui, cittadino americano, di ambientare quella storia strampalata in Inghilterra, imitando sfacciatamente i romanzi di Jane Austen? Ma James Cooper (non ancora James Fenimore Cooper, con l’aggiunta del cognome della madre) non era uomo da darsi per vinto. Giurò di scrivere un libro che sarebbe stato prettamente americano ed avrebbe avuto come tema l’amor patrio e l’anno seguente si prese la sua rivincita con La spia. Il plauso riscosso da questo romanzo a sfondo storico – un episodio della guerra per l’indipendenza degli Stati Uniti dalla madrepatria, l’Inghilterra – fece di un agiato proprietario terriero che non aveva mai pensato di diventare scrittore addirittura l’iniziatore della grande letteratura americana. Il successo de La spia fu bissato da quello de I pionieri, primo dei cinque titoli che compongono i Racconti di Calzadicuoio (gli altri sono L’ultimo dei Mohicani col quale raggiunse l’apice del successo, La prateria, Il cercatore di piste e L’uccisore di daini, forse il suo capolavoro). Questo ciclo celebra la frontiera, ossia gli estremi territori degli Stati Uniti non ancora raggiunti dalla civiltà, divenuti ormai un luogo della mente e uno stato esistenziale; mondo vergine e affascinante nel quale si muovono i nuovi eroi rappresentati da pionieri come Natty Bumppo, di volta in volta cacciatore e guida, e dagli indiani delle praterie: uomini che alle restrizioni della vita cittadina e all’avanzare della civiltà industriale preferiscono il rapporto autentico con la natura (peraltro Cooper confessò di non aver mai visto un pellerossa in vita sua, avendone appreso soltanto dai racconti del padre). A questi eroi e a questi miti si sarebbero ispirati, fra l’altro, gli innumerevoli film western della storia del cinema. Sono evidenti soprattutto in questo ciclo quei pregi della scrittura – intreccio avventuroso, acutezza di osservazione, idealizzazione della natura – che fecero di Cooper uno degli autori più celebri e imitati del XIX secolo, considerato un maestro del romanzo moderno da scrittori come Balzac e Hugo. L’altro genere nel quale Cooper si rivelò anticipatore è quello della narrativa di mare, dove riversò le sue esperienze giovanili (navigò per cinque anni, prima di doversi occupare alla morte del padre delle sue proprietà). Non a caso opere come Il pilota, Il corsaro rosso e I leoni del mare vennero tanto apprezzate da Melville e Conrad. Eppure non era tanto da questi romanzi, cui vanno aggiunte narrazioni storiche come Satansoe, L’incatenato e I pellerossa, che il prolifico Cooper si aspettava la stima e la riconoscenza dei connazionali. Strenuo sostenitore dei princìpi della democrazia americana, ma altrettanto critico nei confronti dei suoi limiti (era repubblicano con idee conservatrici), Cooper riteneva più importanti i suoi saggi socio-politici come la Lettera ai compatrioti: ne ricavò invece solo incomprensioni, amarezze e polemiche. Da una parte, dunque, il romanziere popolarmente acclamato, creatore, con le sue epopee della frontiera, di eroi e miti più aderenti a quel mondo da poco emancipato dalla vecchia Europa; e dall’altra il polemista avversato per le sue idee che gli attirarono denunce e processi a non finire. A riproporre questo autore ingiustamente trascurato e relegato nell’ambito della letteratura per ragazzi, è un testo poco noto, ora tradotto per la prima volta in italiano: Ned Myers, una vita a prora (Effemme), biografia di un marinaio semplice che Cooper sedicenne conobbe al suo primo imbarco, salvo a ritrovarlo trent’anni dopo, giusto in tempo per farsela narrare. Ricco di colpi di scena (arruolamenti forzati, tempeste, naufragi, imprigionamenti, fughe, risse, fustigazioni e quant’altro), il racconto procede fra sregolatezze e nobili sentimenti fino al riscatto finale dal vizio di bere e il riavvicinamento alla religione. Facendo rivivere con accattivante immediatezza, sullo sfondo dei grandi eventi storici che hanno caratterizzato la nascita degli Stati Uniti, la dura esistenza a bordo dei velieri di un tempo. JAMES FENIMORE COOPER nacque a Burlington (New Jersey) nel 1789, da una facoltosa famiglia quacchera di proprietari terrieri. Crebbe a Cooperstown, il villaggio fondato da suo padre sul lago Otsego nello stato di New York. Studiò nel collegio di Yale ma ne fu espulso per motivi disciplinari e quindi scelse di arruolarsi in marina. Le impressioni infantili del paesaggio di frontiera, dove crebbe, e la sua giovanile esperienza del mare modellarono la sua immaginazione di romanziere. Nel 1811 sposò l’aristocratica Susan De Lancey e si stabilì nelle proprietà di famiglia. Dopo i primi successi letterari si trasferì a New York per dedicarsi alla carriera di scrittore. Compì lunghi viaggi in Europa, dove conobbe personaggi illustri come La Fayette e scrittori come Washington Irving e sir Walter Scott, uno dei suoi principali ispiratori. Cooper scrisse molti saggi e più di trenta romanzi, indagando con passione la realtà del suo paese. Morì a Cooperstown nel 1851.

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