Cooper per terra e per mare

A Cooperstown, sulle rive del lago Otsego (Stato di New York). Il villaggio fondato nel 1807 dal padre dello scrittore che creò il mito dell’eroe e del paesaggio americano è oggi una cittadina ricca di attrattive non solo storiche, artistiche e naturali: infatti il suo museo del baseball è un vero oggetto di culto con adepti e pellegrini da tutto il mondo
Cooperstown

«Mia cara Susan, scommettiamo che sarò in grado di scrivere un libro perlomeno uguale ai romanzetti sentimentali inglesi che leggi con tanto interesse?». La sfida, pressappoco in questi termini, era lanciata. Ma il risultato, Precaution, pubblicato nel 1820, fu del tutto deludente e venne giustamente stroncato dalla critica. Cosa era saltato in mente a lui, cittadino americano, di ambientare quella storia strampalata in Inghilterra, imitando sfacciatamente i romanzi di Jane Austen?

 

Ma James Cooper (non ancora James Fenimore Cooper, con l’aggiunta del cognome della madre) non era uomo da darsi per vinto. Giurò di scrivere «un libro che sarebbe stato prettamente americano ed avrebbe avuto come tema l’amor patrio» e l’anno seguente si prese la sua rivincita con La spia. Il plauso riscosso da questo romanzo a sfondo storico – un episodio della guerra per l’indipendenza degli Stati Uniti dalla madrepatria – fece di un agiato proprietario terriero che non aveva mai pensato di diventare scrittore addirittura l’iniziatore della grande letteratura americana.

Il successo de La spia fu bissato da quello de I pionieri, primo dei 5 titoli che compongono i Racconti di Calzadicuoio (gli altri sono L’ultimo dei Mohicani col quale raggiunse l’apice del successo, La prateria, Il cercatore di piste e L’uccisore di daini, forse il suo capolavoro). Questo ciclo celebra la “frontiera”, ossia gli estremi territori degli Stati Uniti non ancora raggiunti dalla civiltà, divenuti ormai un luogo della mente e uno stato esistenziale; mondo vergine e affascinante nel quale si muovono i nuovi “eroi” rappresentati da pionieri come Natty Bumppo, di volta in volta cacciatore e guida, e dagli indiani delle praterie: uomini che alle restrizioni della vita cittadina e all’avanzare della civiltà industriale preferiscono il rapporto autentico con la natura (peraltro Cooper confessò di non aver mai visto un pellerossa in vita sua, avendone appreso soltanto dai racconti del padre). A questi eroi e a questi miti si sarebbero ispirati, fra l’altro, gli innumerevoli film western della storia del cinema. Sono evidenti soprattutto in questo ciclo quei pregi della scrittura – intreccio avventuroso, acutezza di osservazione, idealizzazione della natura – che fecero di Cooper uno degli autori più celebri e imitati del XIX secolo, considerato un maestro del romanzo moderno da scrittori come Balzac e Hugo.

 

L’altro genere nel quale Cooper si rivelò anticipatore è quello della narrativa di mare, dove riversò le sue esperienze giovanili (navigò per cinque anni, prima di doversi occupare alla morte del padre delle sue proprietà). Non a caso opere come Il pilota, Il corsaro rosso e I leoni del mare vennero apprezzati da Melville e Conrad.

 

Eppure non era tanto da questi romanzi, cui vanno aggiunte narrazioni storiche come Satansoe, L’incatenato e I pellerossa, che il prolifico Cooper si aspettava la stima e la riconoscenza dei connazionali. Strenuo sostenitore dei princìpi della democrazia americana, ma altrettanto critico nei confronti dei suoi limiti (era repubblicano con idee conservatrici), Cooper riteneva più importanti i suoi saggi socio-politici come la Lettera ai compatrioti: ne ricavò invece solo incomprensioni, amarezze e polemiche. Da una parte, dunque, il romanziere popolarmente acclamato, creatore, con le sue epopee della frontiera, di eroi e miti più aderenti a quel mondo da poco emancipato dalla vecchia Europa; e dall’altra il polemista avversato per le sue idee che gli attirarono denunce e processi a non finire.

 

Ha riproposto 10 anni or sono questo autore ingiustamente trascurato e relegato nell’ambito della letteratura per ragazzi un testo poco noto, tradotto per la prima volta in italiano: Ned Myers, una vita a prora (Effemme), biografia di un marinaio semplice che Cooper sedicenne conobbe al suo primo imbarco, salvo a ritrovarlo trent’anni dopo, giusto in tempo per farsela narrare.

Ricco di colpi di scena (arruolamenti forzati, tempeste, naufragi, imprigionamenti, fighe, risse e  fustigazioni), il racconto procede fra sregolatezze e nobili sentimenti fino al riscatto finale dal vizio di bere e il riavvicinamento alla religione. Facendo rivivere con accattivante immediatezza, sullo sfondo dei grandi eventi storici che hanno caratterizzato la nascita degli Stati Uniti, la dura esistenza a bordo dei velieri di un tempo.

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