Convivenza virale

Dalle Filippine alla Turchia, dall’Australia allo Sri Lanka, dall’Europa al Marocco, poco alla volta ci si abitua alla coabitazione forzata col Covid-19

Ogni giorno le agenzie di stampa battono delle notizie di nuove riaperture, timide o più decise, e di nuove chiusure, lockdown locali o generali, parziali o per categorie. Da tutto il mondo. Dalle Americhe, da un paio di mesi ormai diventate l’epicentro della pandemia, all’Europa che stenta a liberarsi definitivamente dal virus, dall’Africa che trema ogni giorno di più anche se finora il coronavirus non ha fatto soverchi danni, al Medio Oriente dove dati e politiche vagano nel limbo della vacuità, all’Asia dove il virus, dopo la sfuriata iniziale in Cina, ha colpito meno duramente forse, ma più diffusamente.

Tra le tante notizie della settimana appena passata, ecco le Filippine, che chiudono di nuovo i luoghi pubblici; mentre Melbourne, in Australia, si autocondanna a 6 settimane ulteriori di lockdown; le scuole srilankesi, invece, avevano riaperto lunedì, ma venerdì hanno di nuovo chiuso, di fronte alla nuova crescita dei contagi; Haghia Sophia diventa moschea ma deve fare i conti con la pandemia e, per il troppo afflusso di fedeli, deve di nuovo chiudere i battenti; il Marocco, da parte sua, chiude Tangeri, come una volta si chiudevano i porti per la peste; l’Ungheria, veniamo in Europa, si rinchiude, pratica usuale per tanti ormai; l’Italia obbliga chi arriva da Bulgaria e Romania a rimanere a casa 14 giorni, come coloro che vengono dai Paesi dove più forte è il contagio; la Catalogna chiude Lleida e altri centri; un ministro francese annuncia nuovi contagi diffusi; il Messico non sa che pesci pigliare e cambia strategia ogni settimana; gli Usa, poi, non riescono ad assumere regole condivise, e ogni Stato fa come può e come gli pare. E si potrebbe continuare.

Stupisce la mutabilità delle decisioni dei politici. In Libano, ad esempio, che ha conosciuto in 3 settimane lo stesso numero di contagiati che nei 4 mesi precedenti, richiude locali pubblici e saloni di bellezza; ma in realtà ogni giorno il governo emana nuove regole, che però la gente non osserva perché non sa che deve comportarsi in un certo modo, e perché il caldo e il bel tempo invitano a disobbedire. Un’amica di Beirut mi scriveva: «Piacere e disobbedienza», e la si capisce in un contesto di disfacimento dello Stato. Anche nella stessa Europa si cerca di avanzare razionalmente, e sul fondo lo si fa; ma poi ogni governo si trova a dover prendere delle decisioni per accontentare le popolazioni che vogliono spaziare e per quelle che al contrario vogliono isolarsi. In qualche modo, i governi di tutto il pianeta si trovano a prendere misure schizofreniche, apriamo e chiudiamo, e non è una contraddizione ma un paradosso.

Con il Covid-19, finché un vaccino efficace non sarà stato trovato, e finché non sarà disponibile in miliardi di dosi (pensate, miliardi, cifre da capogiro), si dovrà convivere, e cercare di farlo correttamente, senza troppi danni per l’economia e soprattutto per la salute dei cittadini. Dovremo, almeno qui da noi in Europa, vigilare alla correttezza istituzionale e costituzionale delle norme varate dai governi: il virus dell’onnipotenza può contagiare anche i governanti più democratici. Altrove forse più che in Europa, altri esecutivi stanno già usando del coronavirus per le questioni politiche interne. Lì la vigilanza dovrebbe essere più centrata sul rispetto puro e semplice dei diritti umani. In ogni caso le popolazioni sono chiamate a una doppia vigilanza: contro il virus onnipotente e contro il virus dell’onnipotenza.

E ci ritroviamo globalizzati anche in questa vigilanza. Non solo nella pandemia, ma anche nella vigilanza. Il che è decisamente meglio, nel senso che la coscienza dei popoli così si risveglierà – almeno un po’ – seguendo un imperativo civile e politico, e non solo sanitario.

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