«Convertitevi!», a 30 anni dal grido di Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi
Il 9 maggio era in programma la concelebrazione eucaristica nella Valle dei Templi. Uno dei momenti clou di quella visita pastorale. Erano anni difficili per la Sicilia, martoriata dalle stragi di mafia, stretta in una morsa che sembrava non potesse darle scampo.
Alla fine della celebrazione Giovanni Paolo II pronunciò a braccio parole rimaste indimenticabili, quelle ancora oggi conosciute come l’anatema contro la mafia.
«Dopo tanti tempi di sofferenze avete finalmente un diritto a vivere nella pace. E questi che sono colpevoli di disturbare questa pace, questi che portano sulle loro coscienze tante vittime umane,devono capire, devono capire che non si permette di uccidere innocenti! Dio ha detto una volta: “Non uccidere”: non può uomo, qualsiasi, qualsiasi umana agglomerazione, mafia, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio!
Questo popolo, popolo siciliano, talmente attaccato alla vita, popolo che ama la vita, che dà la vita, non può vivere sempre sotto la pressione di una civiltà contraria, civiltà della morte. Qui ci vuole civiltà della vita! Nel nome di questo Cristo, crocifisso e risorto, di questo Cristo che è vita, via verità e vita, lo dico ai responsabili, lo dico ai responsabili: convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio!».
Parole che risuonarono nella Valle dei Templi, in modo forte, prorompente. Giovanni Paolo II parlò con il cuore, quelle parole finali, a conclusione della celebrazione, non erano previste, non erano nel protocollo. Cosa era successo?
«Il papa era arrivato in Sicilia in anni difficili – ricorda monsignor Carmelo Ferraro, in quegli anni arcivescovo di Agrigento –, c’erano stati 300 omicidi. Erano stati uccisi il giudice Rosario Livatino, il giudice Antonino Saetta, il maresciallo Giuliano Guazzelli. Nel 1992 avevamo preparato un documento, un libretto stampato e diffuso nella diocesi, con cui avevamo approfondito questi temi, avevamo spiegato come la cultura mafiosa sia il male della nostra società. Ci eravamo preparati, con delle catechesi e degli incontri. La visita del papa arrivava quindi in un momento particolare, di grande sofferenza. Attendevamo il papa con grande gioia, come si attende una persona importante, ma una persona di casa. Quei momenti, così profondi e così veri, ci hanno reso evidente che il ministero petrino tocca il cuore».
Il papa era rimasto colpito dalla cultura siciliana. Monsignor Ferraro ricorda anche l’incontro con la cittadinanza di Agrigento, il giorno prima, quando il pontefice aveva detto: «Saluto te, Agrigento, città di antichissima civiltà, madre di menti eccelse e di cuori generosi! Come non ricordare che tu hai dato i natali a personalità illustri, dall’antico Empedocle al moderno Pirandello? Come non far memoria qui della lunga tradizione artistica e culturale che caratterizza la tua storia millenaria? Saluto inoltre te, Chiesa agrigentina, intrepida nella fede, edificata dai santi vescovi Libertino, Gregorio e Gerlando, onorata attraverso i secoli da una lunga catena di santi».
La celebrazione si era svolta nella Valle dei Templi, il centro della bellezza archeologica e della storia. E aveva aggiunto: «Non si dimentica facilmente una tale celebrazione, in questa Valle, sullo sfondo dei templi: templi provenienti dal periodo greco che esprimono questa grande cultura e questa grande arte ed anche questa religiosità, i templi che sono testimoni oggi della nostra celebrazione eucaristica. E uno ha avuto nome di “Concordia”: ecco, sia questo nome emblematico, sia profetico. Che sia concordia in questa vostra terra! Concordia senza morti, senza assassinati, senza paure, senza minacce, senza vittime! Che sia concordia! Questa concordia, questa pace a cui aspira ogni popolo e ogni persona umana e ogni famiglia!».
Il contrasto tra quella cultura e quella storia millenaria e la storia tragica di quei giorni era forse apparsa emblematica a Giovanni Paolo II che, poco prima della celebrazione, in arcivescovado, aveva incontrato i familiari del giudice Saetta e i genitori di Livatino.
«Avevo voluto che ogni incontro fosse personale e intimo – spiega monsignor Ferraro – si trovavano in due stanze diverse, hanno potuto incontrare il papa personalmente. Erano persone colpite dalla mafia e dalla voglia di sangue che pervadeva alcuni ambienti. L’incontro con i genitori di Livatino colpì molto il papa: la mamma disse che la loro vita era diventata un cimitero. La mafia aveva tolto loro l’unico figlio. Dopo quell’incontro si spostò nella Valle dei Templi per la celebrazione eucaristica. In seguito, ricordando quei momenti, citò quelle parole definendole «Il grido sgorgatomi dal cuore».
E oggi?
«Oggi rimane un ricordo indelebile ed una nuova coscienza civile – conclude –. La chiesa e la società siciliana hanno fatto tanti passi. C’è un passaggio culturale in atto. Ma quel messaggio rimane come un segno di speranza perché il papa vide la bellezza di questa terra di Sicilia che rese ancora più evidente il contrasto con chi la voleva annientare, chi voleva distruggere tanta bellezza. Rimane un messaggio indelebile, faro ancora oggi».
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