Conversione ecologica e sviluppo sostenibile, un chiarimento necessario

La scelta di una conversione economica deve essere accompagnata da un diverso atteggiamento culturale nei confronti del limite per arrivare a scelte politiche coerenti. Un contributo al dialogo a partire dalla "Laudato sì" verso la Settimana sociale dei cattolici italiani su "Il Pianeta che speriamo" di ottobre 2021 a Taranto
Conersione ecologica AP Photo/J. David Ake,

La crisi ecologica in cui ci troviamo è il risultato dell’ambizione umana di superare i propri limiti naturali. Utilizzando la scienza e la tecnologia, l’umanità ha creato una frattura profonda con la natura. Per tentare di ricomporla, scienziati ed attivisti, sin dagli anni Sessanta, hanno elaborato proposte per limitare lo sviluppo e combattere l’inquinamento industriale e lo sfruttamento delle risorse naturali. Ma, nonostante i numerosi tentativi di soluzioni a livello internazionale, i risultati pratici sono stati pochi. Questo perché si vogliono scaricare i costi da sostenere sulle generazioni successive. Ma la proposta di costruzione di un’ecologia integrale nella lettera enciclica “Laudato si’” di papa Francesco, ha presentato al mondo un percorso di cambiamento così radicale da richiedere una necessaria conversione ecologica.

La conversione economica

Il mondo economico, di fronte alle critiche allo sviluppo, ha maturato negli anni Ottanta il concetto di sviluppo sostenibile. Definito uno sviluppo eco-compatibile, in realtà non ha mai rinunciato a nessuno dei principi alla base dell’attuale crisi ecologica: la massimizzazione dei profitti, la minimizzazione dei costi del lavoro e lo sfruttamento delle risorse naturali. Questo atteggiamento ha ridotto la sostenibilità ad una pura e semplice azione di marketing.

Invece lo sviluppo dovrebbe fondarsi sul concetto di ciclo di vita di un prodotto, comprensivo del suo successivo smaltimento. Il costo della produzione dovrebbe tenere conto della rigenerazione naturale delle risorse utilizzate, del costo del lavoro, del rispetto dei diritti dei lavoratori e del loro benessere, oltre all’impatto sulla salute, sulla società e sull’ambiente. Una sincera preoccupazione ecologica dovrebbe tenere in una nuova considerazione i poveri, i migranti e le popolazioni aborigene. Gli ultimi sono le vittime della cultura dello scarto, ma ogni vero cambiamento passa attraverso di loro.

Per questo motivo si dovrebbe temporaneamente arrestare la crescita avida ed irresponsabile dei Paesi benestanti per finanziare una sana crescita dei paesi più poveri. Quest’ultimi potranno fare la propria parte nella cura della casa comune solo se gli verranno restituiti, da parte dei Paesi più ricchi, gli indennizzi per lo sfruttamento indiscriminato che hanno subito le loro risorse naturali. Altra fonte di finanziamento dei Paesi poveri potrebbe provenire dal disarmo dell’economia.

Solo superando il paradigma della competizione ad ogni costo si potrà prevenire, nei rapporti internazionali, la regolazione delle controverse mediante conflitti armati. Il mondo non può più permettersi il rischio che un conflitto degeneri in uno scontro nucleare. Infatti, rinunciando agli enormi costi sostenuti per le spesi militari, anche i paesi poveri potrebbero finanziare la propria conversione ecologica e produrre un sano sviluppo ed una vita dignitosa. Inoltre, si potrebbero reperire risorse per la ricostituzione delle foreste distrutte in questi decenni. Una tale conversione potrebbe avere un impatto positivo sulla vita del pianeta e sui cambiamenti climatici, divenendo il volano per un’economia capace di essere profetica.

La conversione politica

La scelta di una conversione economica dovrebbe essere accompagnata da un diverso atteggiamento culturale nei confronti del limite. Una conversione individuale non basterà per promuovere una conversione del sistema. La politica, quindi, dovrebbe tornare ad orientare le scelte economiche, a partire da quelle energetiche ed infrastrutturali, abbandonando l’uso di combustibili fossili. Sarebbe quindi necessario continuare a finanziare la ricerca e l’uso di fonti rinnovabili e sostenere il cambiamento del modo in cui le imprese producono, valutando l’intero costo del ciclo di vita dei prodotti, dalla loro creazione al loro smaltimento. In questo modo si promuoverebbe una reale cultura della riduzione, del riuso e del riciclo.

Gli investimenti pubblici dovrebbero essere progettati ed eseguiti rispettando il principio di precauzione, che permetterebbe anche agli attori sociali più deboli di poter bloccare un’attività considerata dannosa per la salute e l’ambiente.

A fondamento di tutti questi cambiamenti ci dovrebbe essere una scelta per la cultura della vita, sostenendo la centralità della famiglia, luogo primario della formazione integrale delle persone. Una formazione che dovrebbe promuovere: un superamento delle dinamiche di dominio, di competizione e di accumulazione egoistica ed educare a costruire una cultura della sobrietà per superare la logica del consumismo.

Il fine ultimo di queste scelte è la costruzione di un futuro di pace, unica garanzia della riuscita di una conversione ecologica integrale, da sostenere con una nuova organizzazione internazionale fondata sulla libertà, la fraternità, la dignità umana, la carità ed il principio di sussidiarietà.

La conversione ecologica integrale

La conversione ecologica «esige anche di fermarsi a pensare e a discutere sulle condizioni di vita e di sopravvivenza di una società, con l’onestà di mettere in dubbio modelli di sviluppo, produzione e consumo» (LS, n.138). Per questo motivo bisognerebbe cambiare la visione utilitaristica della società e respingere la tentazione di uniformare globalmente le diverse culture, che sono preziose come le specie animali e vegetali. L’Amazzonia ed i suoi abitanti, quotidianamente colpiti dalla cultura dello sfruttamento economico delle risorse, ne sono l’esempio più chiaro. La cultura attuale, che sottende all’economia e alla politica, si fonda sulla discriminazione fra le persone e fra le culture. Questo meccanismo, animato da una credenza profonda da eradicare, si basa sul convincimento che ci siano culture da scartare. Ecco perché i più poveri, tra cui le popolazioni aborigene ed i migranti, divengono vittime anche del diritto, che si è trasformato da strumento per costruire e garantire il bene comune a strumento di oppressione ed esclusione degli ultimi.

Una conversione ecologica “in pratica”, quindi, anche se aiutata dall’impegno meritorio dei singoli, dovrà essere fondata su scelte politiche ed economiche che mettano al centro l’essere umano e la sua responsabilità verso la cura della nostra casa comune, la Terra.

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