Conversione ecologica, no greenwashing. Segui la diretta
Conversioe ecolgica tra guere e pandemia. Un tempo favorevole. Martedì 12 ottobre è previsto il vertice a porte chiuse dei leader dei Paesi G20 sull’Afghanistan. È un momento storico importante per l’Italia per il ruolo che può esercitare sul piano internazionale ed è paradossale che l’incontro a così massimi livelli si svolga in una Roma che è stata l’epicentro delle manifestazioni anche violente della galassia cosiddetta NoVax.
Nello stesso tempo dalla Puglia arriva la notizia di uno studio promosso dal Comune di Taranto, Università di Bari e Società italiana di medicina ambientale che mette in evidenza l’eccesso di mortalità, 1.020 decessi in più di quelli stimati dal 2011 al 2019, registrato nei quartieri limitrofi all’area a caldo dello stabilimento siderurgico dell’ex Ilva ora in gestione all’Acciaierie Italia presieduta da Franco Bernabè, manager di livello internazionale in stretti rapporti con Draghi dai tempi delle privatizzazioni delle grandi società pubbliche ma ancora sotto controllo dello Stato (Eni, Leonardo e altre).
Il nostro Paese è chiamato quindi ad affrontare il fronte esterno di una situazione esplosiva su scala mondiale denunciata dal segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, nell’ultima assemblea generale («Sono qui per suonare l’allarme, siamo su un apice di un abisso e andiamo in direzione sbagliata»), assieme a quello interno di un concetto errato di sviluppo che ha prodotto vittime su territori e popolazioni destinati ad essere sacrificati in ragione del profitto e del quieto vivere.
La scelta di Taranto, come luogo dove tenere l’incontro biennale della Settimana dei cattolici italiani, può rappresentare un momento profetico per iniziare ad affrontare “le attese di carità e giustizia” della società italiana così come si cercò di fare a Roma negli anni 70 con riferimento ai mali storici della Capitale. Discorso rimasto interrotto così come il tentativo avviato nel 1976 con il convegno su Evangelizzazione e promozione umana costruito dopo una lunga fase di preparazione sui territori e la previsione di un «organismo nazionale permanente di partecipazione dei laici alla vita della Chiesa.
Un criterio possibile per riprendere il cammino interrotto resta quello di partire dalla realtà senza omissioni. E volendo prendere sul serio l’invito di papa Francesco alla “conversione ecologica” integrale il dossier proposto sul tema dalla rivista Città Nuova mette in evidenza due casi emblematici dove il problema ambientale si accompagna alla sua possibile soluzione. L’inquinamento di falde acquifere da parte di sostanze Pfas che interessa una vasta zona dell’Italia del Nord concentrato nelle zone industriali del Veneto e di Alessandria in Piemonte che impone di bonificare il territorio ed imporre severi limiti alla presenza degli agenti inquinanti nella produzione industriale. Richieste legittime avanzate in maniera pacifica da un movimento che ha messo in evidenza la presa in cura da parte delle donne e delle famiglie dei bambini particolarmente esposti ad un danno grave alla salute ma che si scontra con i gruppi industriali che agiscono tramite lobby presenti fisiologicamente nei luoghi decisionali. Un copione già visto e ricorrente tante volte come nel caso eclatante dell’Eternit.
L’altro caso evidente è quello della Terra dei fuochi in Campania dove la devastazione dell’ambiente si è consumata grazie all’associazione tra la camorra e aziende senza scrupoli del Nord del Paese. Di fatto,come denunciato anche dai vescovi locali, restano ferme le bonifiche necessarie e indispensabili per interrompere la lunga catena di morti dovuti all’inquinamento dei territori. Nel “dossier Conversione ecologica” la professoressa Stefania Papa dell’università della Campania espone il problema in una maniera così chiara ed evidente che solo chi non vuole sapere può ignorare.
Un grido della terra, dell’acqua, dell’aria, cioè del Creato come lo definiscono i credenti, che chiede giustizia e un impegno civile e politico costante, consapevole della sproporzione delle forze in campo.
Un esempio di tale dedizione al bene comune arriva dall’esperienza in corso del comitato riconversione Rwm nato in Sardegna per rispondere alla necessità di non poter tollerare di avere una fabbrica di bombe destinate impunemente ad alimentare la guerra in Yemen seminando distruzione e morte, con gli attacchi aerei pianificati su scuole e ospedali. Durante la settimana sociale dei cattolici italiani che si è svolta a Cagliari nel 2017, incentrata sul lavoro degno, sfumò la possibilità di un incontro aperto con l’allora ministro degli Esteri Paolo Gentiloni per rendere ragione delle scelta italiana di non interrompere il flusso di armi dirette in Arabia Saudita. Decisone poi adottata dal governo Conte 2 dopo un voto in tal senso espresso alla Camera grazie ad un’efficace mobilitazione di una parte della società civile. Un blocco che interessa comunque solo la fornitura di un’azienda senza mettere in discussione il quadro generale di una produzione industriale, in gran parte sotto controllo pubblico, destinata a fornire di armi i Paesi in guerra.
Non è questo il tempo favorevole per cambiare direzione? Cioè di convertire la produzione bellica in quella a servizio della transizione ecologica? È possibile un vero dibattito per capire cosa, come e per chi produciamo armi con impegni di spesa che andrebbero dirottati verso la guerra contro l’inquinamento che devasta i territori e le persone?
La stessa necessità di approntare una difesa europea, dopo la ritirata della Nato dall’Afghanistan, sollecita la riduzione e razionalizzazione dei costi della difesa con imprese che non devono competere tra loto sui mercati internazionali per vendere la loro merce.
La creatività del comitato riconversione Rwm che ha lanciato, grazie all’impegno comune con la chiesa evangelica del Baden, in Germania, la rete di imprese war free, cioè libere dalla guerra, è il segnale della vitalità di una società civile che non si arrende alla banalità del male ma cerca di costruire legami e ponti di pace tra i popoli.
La cifra dell’“impegno” è molto cara a don Bruno Bignami, direttore dell’ufficio nazionale della Cei per i problemi sociali e del lavoro e per lungo tempo responsabile della Fondazione Mazzolari. “Mi impegno” è il testo guida di don Primo Mazzolari che orienta tanti cristiani nella dedizione per il bene comune. Una boccata di ossigeno per tutti coloro che decidono di compiere le scelte decisive della vita. Mazzolari è maestro di quella coscienza inquieta per cui, «un cristiano è uomo di pace non un uomo in pace: fare la pace è la sua vocazione».
Assume perciò un particolare significato e valore ciò che ha scritto Bignami nel dossier di Città Nuova a proposito della transizione ecologica che «o sarà giusta o non sarà, o sarà fraterna o non sarà».
Nel tempo di Francesco non è più tempo di passerelle e di compromessi. Se l’Amazzonia è il banco di prova del mondo, come evidenziato dai lavori del recente sinodo e dall’esempio di Chico Mendez narrato da Gianni Alioti nel dossier, per l’Italia lo è Taranto e i troppi territori feriti che chiedono giustizia.
Un cammino possibile per la chiesa e la società italiana nel suo complesso. Concretamente questo vuol dire capire come verranno gestiti i fondi del Pnrr e i particolare del Just transition fund destinati a Taranto e al Sulcis, in Sardegna. Non si può ridurre la grande attesa per una svolta ecologica integrale ad un’operazione di facciata, cioè ad una verniciatura di verde ( greenwashing) che lascia le cose come stanno. Per questo è importante un confronto con quelle realtà ambientaliste esigenti come Greenpeace che è stata interpellata del dossier intervistando il direttore per l’Italia, Giuseppe Onufrio. Materiali per un percorso da continuare.