Il controllo dei nostri dati digitali, fra sicurezza, privacy e democrazia
Solo una questione di marketing?
Nel grande mondo digitale in cui siamo immersi, i flussi di dati che viaggiano in rete sono il carburante che alimenta il motore dell’economia. Il loro scambio è il presupposto dell’efficienza dei mercati e senza di essi il sistema economico globale oggi non girerebbe più. Tutti i servizi gratuiti di cui usufruiamo attraverso internet – dalla navigazione satellitare agli acquisti, dalla comunicazione ai social – sono in realtà pagati attraverso i dati che più o meno consapevolmente forniamo alla rete e che sono necessari ad alimentare i circuiti del web-marketing.
Conoscere le abitudini e gli interessi dei consumatori è essenziale per pianificare il proprio business e oggi, epoca della digitalizzazione globale, l’analisi di questi dati è strategicamente determinante. Di fatto, quindi, i nostri dati personali fungono da moneta con la quale paghiamo i servizi che utilizziamo in rete.
Le informazioni contenute nei dati digitali che ci riguardano e che transitano online non sono tutte uguali: alcune servono ad identificare specificamente la nostra persona (e sono utili, ad esempio, per certificare le firme digitali, la documentazione sanitaria ecc.), altre invece – in forma anonima – permettono di tracciare i nostri interessi privati e disegnare il nostro profilo di consumatori, al fine di proporci beni o servizi mirati. La raccolta e l’analisi di queste informazioni è tutelata dalla legge, ma la “liquidità” delle frontiere del mondo digitale si traduce anche in lacune legali riscontrabili negli accordi internazionali in fatto di privacy.
Il problema riguarda vari aspetti: quello della tutela dei dati personali, quello del loro utilizzo per finalità di marketing e quello del loro controllo per motivi di sicurezza. Le disposizioni legali su questi temi variano da un Paese all’altro, non tutti gli ordinamenti giuridici trattano il problema allo stesso modo, con conseguenti ripercussioni a livello geopolitico nelle relazioni tra Stati.
La questione ci riguarda da vicino perché negli Stati Uniti, culla delle più grandi aziende di servizi digitali del mondo, sono attivi vari centri in cui convergono i dati sensibili di milioni di cittadini italiani ed europei. Le informazioni raccolte globalmente da Microsoft, Google, Apple, Facebook e molti altri big del settore confluiscono su server localizzati in territorio USA (o sono comunque gestiti da aziende regolate dall’ordinamento giuridico statunitense), innescando così preoccupazioni sulla possibilità di una intrusione governativa verso quelle informazioni.
Quanto e perché sia rilevante il tema del trasferimento dei nostri dati in altri Paesi ce lo spiega la storia recente: una trama di avvenimenti estremamente complicata dal punto di vista tecnico e legale, ma che vale la pena ricostruire, almeno nelle sue linee essenziali, per capire il presente e le intricate questioni legate all’utilizzo di informazioni sensibili.
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