Controcorrente nella storia
Attendevamo l’uscita definitiva dalla pandemia e ci siamo ritrovati impantanati in una guerra che non possiamo ignorare come tanti conflitti dimenticati e che ci pone davanti a dilemmi laceranti.
Il 24 febbraio 2022, data dell’invasione russa dell’Ucraina, segna una data spartiacque. Non sono pochi gli studiosi che colgono una somiglianza con il periodo che precedette il primo conflitto mondiale. A poco più di un secolo di distanza permane la nota costante della voce, spesso isolata, che arriva dal colle vaticano di Roma. Benedetto XV scongiurava i capi delle Nazioni di fermare la deriva che avrebbe scatenato “l’inutile strage”. È ciò che non si stanca di fare Francesco con modi giudicati opportuni ma anche inopportuni.
Parlando con i gesuiti della regione russa, il papa ha detto: «Vedo imperialismi in conflitto. E, quando si sentono minacciati e in decadenza, gli imperialismi reagiscono pensando che la soluzione sia scatenare una guerra per rifarsi, e anche per vendere e provare le armi».
Chi non vuole vederlo è afflitto da “deficit cognitivo” come dice Lucio Caracciolo. Il direttore di Limes parla del nostro mondo ristretto di un miliardo di persone, contenute tra Europa occidentale e Nord America, che hanno finora pensato di poter vedere la realtà in maniera edulcorata. Al contrario degli altri 7 miliardi di esseri umani sulla Terra.
Quel giorno di febbraio del 2022 si è prodotta come una scossa tellurica che segna un cambiamento d’epoca. A Firenze era in corso un evento con un gran numero di sindaci e vescovi del Mediterraneo a parlare dei rapporti di pace da edificare su quel mare di importanza strategica e diventato un grande cimitero di migranti in fuga. Hanno cercato di ispirarsi a Giorgio La Pira, il sindaco siciliano che aveva fatto di quella città una sorta di Onu dei popoli con i colloqui mediterranei iniziati nel 1958.
Un luogo di dialogo non sempre facile con inevitabili scontri e incomprensioni. Egli vedeva nella “dolce e armoniosa” Firenze una vocazione universale nel mostrare la radice eterna di tutte le città che «nessun potentato può avere il diritto di distruggere».
Un percorso controcorrente quello di La Pira, con la sua attenzione alla “povera gente” verso la quale sentiva di non poter contentarsi dei discorsi teorici, ma di agire per assicurare a tutti lavoro e casa. Lo muoveva un forte senso del realismo nel capire che l’umanità si trova, dopo l’invenzione della bomba nucleare, «sul crinale apocalittico della storia».
Un tempo estremo dove «o tutto finisce o tutto comincia». Chi è in grado oggi di comprendere fino in fondo questo messaggio?
Ad inizio 2022, l’11 gennaio un’ondata unanime di commozione ha attraversato l’Italia per la scomparsa prematura di Davide Sassoli. Il presidente del Parlamento europeo che ha cercato di tradurre la visione lapiriana davanti alle sfide odierne, soprattutto nei confronti del fenomeno epocale delle migrazioni che impaurisce e mette in crisi il vecchio Continente tentato dal nazionalismo bellicoso e da quella realpolitik dove scompare ogni umanità.
In pieno lockdown da Covid Sassoli fece aprire i palazzi istituzionali per ospitare i senza tetto. Come affrontare oggi il peso della diseguaglianza che diventa insostenibile con la crisi energetica?
Per affrontare la tentazione del pessimismo che affiora osservando ciò che accade, abbiamo incontrato Patrizia Giunti, presidente della Fondazione La Pira a Firenze, titolare della stessa cattedra universitaria di diritto romano che fu di La Pira.
Che significa oggi l’espressione di Paolo di Tarso Spes contra spem (“sperare contro ogni speranza”) che La Pira ripeteva spesso?
Nato nel 1904 e morto nel 1977, La Pira è uomo del Novecento, delle sue tragedie ma anche della stagione contrassegnata come l’età dei diritti. Protagonista in seno all’Assemblea costituente, La Pira contribuisce in modo decisivo alla scrittura dei principi fondamentali della Costituzione italiana, ispirata ai diritti inviolabili dell’essere umano e permeata di personalismo comunitario: una Carta che avrebbe trovato echi profondi nella Dichiarazione universale dei diritti umani, proclamata esattamente un anno più tardi, il 10 dicembre 1948. In La Pira scorgiamo una visione del diritto che non solo registra la realtà ma si sforza di trasformarla in nome della dignità della persona umana. Per lui si trattava di portare la pace dove c’era la guerra, il lavoro dove veniva negato: due tavoli contemporaneamente aperti, due strade percorse necessariamente assieme, con la forza della “speranza più audace” anche di fronte alle circostanze più ostili.
Ma questa voce del Novecento non sembra superata oggi al tempo della “globalizzazione dell’indifferenza”?
La Pira aveva la cognizione delle correnti profonde della storia che si muovono, come negli oceani, al di sotto delle increspature superficiali del mare. Quello che La Pira chiamava il sentiero di Isaia è l’esito inevitabile dell’armonia tra i popoli, vista l’“impossibilità” logica della guerra atomica. Tuttavia, questi primi anni del nuovo secolo che stiamo vivendo vedono l’indebolimento delle istituzioni internazionali e la rinnovata legittimazione di un discorso bellico che giunge sino alla banalizzazione dell’uso tattico o strategico dell’arma nucleare. Si è rivelata illusoria la convinzione, successiva al 1989 e alla caduta del muro di Berlino, di aver superato la divisione in blocchi del mondo. Viviamo di nuovo quest’incubo. E quindi s’impone più che mai il metodo di La Pira, di impegnarsi per gettare ponti sulle acque agitate.
Non si trattò neanche ai suoi tempi di un’opera facile …
Tranne il quotidiano diretto da Ettore Bernabei, si ritrovò contro la stampa locale e quella nazionale che lo accusavano di stare appresso alle questioni internazionali trascurando i problemi ordinari, quando invece riuscì a salvare migliaia di posti di lavoro partendo dalle proposte degli operai sul recupero di attività industriali che si volevano dismettere, dal Pignone alla Fonderia delle Cure.
Nel 1965 si recò in Vietnam a parlare con il leader comunista Ho Chi Minh per trattare la pace a condizioni comparabili con quelle poi accettate dagli Usa nel 1973, dopo altri 8 anni di guerra e migliaia di altre morti. Ma la sua azione venne allora ostacolata dalla fuga di notizie e l’iniziativa fallì. Viaggiava per incontrare i “grandi della Terra” che voleva mettere in dialogo tra loro, anche rischiando l’insuccesso, per riuscire a trovare un punto d’accordo: convinto com’era che la pace si può costruire solo “con”, mai “contro”.
Esistono dunque segnali di continuità tra queste vicende del secolo scorso e la situazione attuale: quando vediamo, ad esempio, lavoratori che ricevono in un messaggio telefonico la comunicazione del loro licenziamento; oppure quando constatiamo, drammaticamente, la paralisi delle diplomazie internazionali nell’aprire una via per una trattativa di pace. La Pira è stato spesso dipinto come un utopista illuso ma mai definizione fu meno adeguata. Nel suo sforzo di dare attuazione agli insegnamenti del Vangelo e ai principi della Costituzione, La Pira non esitò a prendere decisioni “clamorose”, sino al rischio della denuncia penale e dell’arresto. Ma rifiutava, come sindaco, di occuparsi solo delle “fanfare”, di fronte ai bisogni insoddisfatti dei suoi concittadini: lavoro, salario, pace sociale e pace tra i popoli. La corrente profonda e razionale della storia, di cui La Pira fu espressione lucida e visionaria allo stesso tempo, ci dice, oggi più che mai, che «o tutto finisce o tutto comincia».
BOX
La bolletta può scendere
Leonardo Becchetti è professore ordinario di Economia Politica presso l’Università di Roma Tor Vergata. Editorialista di “Avvenire”, blogger su Repubblica.it, è autore di numerose pubblicazioni.
Secondo le previsioni di Arera nel quarto trimestre di quest’anno l’aumento del costo dell’energia per una famiglia tipo sarà del 59% passando da 632 a 1322 euro. Mentre l’Istat evidenzia che la variazione annualizzata dei prezzi ad ottobre raggiunge l’11,9% di cui la componente energia (che incide sulle bollette delle imprese oltre che delle famiglie aumentando tutti i prezzi dei prodotti e in particolare di quelli alimentari) ha visto una crescita del 73%. Senza questa componente l’inflazione sarebbe molto più bassa. A causa di questi fattori aumentano le famiglie in povertà e quelle in povertà energetica che non riescono a scaldare sufficientemente le loro case (secondo i dati Eurostat sono l’8% in Italia).
Tendenze ineluttabili che solo il governo con i ristori contro il caro bollette può emendare? Non è proprio così. E ce lo racconta persino Vittorio Feltri che in un recente blog racconta di aver visto la propria bolletta scendere da 500 a 40 euro mettendo i pannelli fotovoltaici (una settimana di lavori, un po’ più di tempo per l’allaccio). Niente a che vedere con le fantasie del nucleare di quarta generazione di cui si parla molto ma ancora non esiste. L’Enel ci ricorda che quest’anno abbiamo 230 mila domande di allaccio di famiglie e imprese che hanno installato pannelli, tre volte di più dello scorso anno. Si dirà che bisogna però avere qualche decina di migliaia di euro per fare l’investimento (una spesa che si recupera ai prezzi del gas attesi per i prossimi tre anni sopra i 100 euro per megawatt ora in 3 anni). Esistono vie ancora più semplici come quella dei condomini comunità energetiche. Ne stanno nascendo molti in Piemonte. Basta affidarsi alle aziende giuste e tutto viene consegnato chiavi in mano senza costi per i condòmini. All’inizio il risparmio in bolletta è del 70% per consentire all’azienda di recuperare l’investimento, poi aumenta.
Vittorio Feltri conclude il suo blog con un appello alla Meloni: «Suggerisco, in base alla mia esperienza, a Giorgia Meloni, la quale ha già dimostrato di essere all’altezza di governare, di intraprendere una campagna per sfruttare la luce naturale allo scopo di consentire ai cittadini di spendere il meno possibile per ottenere l’energia indispensabile per campare in modo decente. Fino ad ora si è polemizzato per installare i rigassificatori e le trivelle in mare, mentre dei miracolosi pannelli solari si chiacchiera distrattamente. Essi vanno favoriti, promossi e, soprattutto, devono essere collocati su qualsiasi tetto, su qualsiasi terrazzo… Non perdiamo tempo in polemiche sterili e diamoci da fare, magari concedendo agevolazioni o mutui a coloro che intendono adoperare i mezzi più vantaggiosi offerti dalla tecnologia».
Ci associamo all’accorato appello. Per combattere contemporaneamente l’emergenza climatica, la povertà energetica e il caro bollette (e raggiungere la sovranità energetica), non servono scienziati o grandi nuove scoperte. Basta il buon senso.
BOX 2
Esclusione sociale e giovani in Italia
Renato Cursi è direttore generale di Salesiani per il Sociale APS.
Il lavoro è la porta della dignità. E a quella porta dovrebbero condurre in rapida successione molte altre, lungo un corridoio fatto di educazione, istruzione, formazione e orientamento. Queste porte – non da oggi, né da ieri, ma da oltre 15 anni – sono chiuse ad un giovane su 4 in Italia.
I giovani 15-34enni che non studiano, non lavorano e non si formano sono oltre 3 milioni in Italia: il 25,1%. Un’esclusione sistemica, ma asimmetrica: in alcune regioni del Sud i giovani in questa condizione superano il 40%, e la disoccupazione giovanile italiana è 3,4 volte più elevata di quella adulta.
Un record di esclusione sociale generazionale, che vede l’Italia al primo posto nell’UE e al quarto posto nell’area continentale. Un’esclusione da analizzare con una prospettiva intersezionale, andando a cogliere, per esempio, le ulteriori discriminazioni cui sono ancora strutturalmente sottoposte le giovani donne, le persone giovani di Paesi Terzi e quelle con disabilità.
Un’esclusione spesso ereditata, nel Paese degli ascensori sociali guasti o dei pavimenti appiccicosi: solo 11 bambini su 100, i cui genitori si trovano nel quintile più basso, saranno in grado di raggiungere il 20% più ricco una volta adulti. Tra coloro, invece, che sono nati da genitori con reddito più elevato, oltre il 33% tenderanno a rimanere nel quintile più alto della distribuzione una volta adulti.
Un’esclusione strutturale di questa portata (e durata) esige più di una presa di consapevolezza, più di una terapia: qui occorre una conversione culturale e spirituale di popolo. Cercasi un fine, ma prima ancora una comunità intergenerazionale che lo sogni insieme. Che voglia lasciare un’eredità, oltre l’orizzonte del presente.
Crediamo ancora che si possano pensare programmi come Garanzia Giovani, basandosi solo su Stato e mercato, senza fare perno sul Terzo Settore? Il sussidio guarda al presente, la sussidiarietà al futuro.
Come sorprendersi dell’inverno demografico in territori che offrono lavoro ai giovani solo d’estate? Genera chi è grato.
Le pietre che rotolano sono diventate pietre di scarto. I giovani sono di chi arriva prima: lasceremo che di queste pietre scartate gli imprenditori della paura facciano altri muri? O sapremo guardare oltre le prossime elezioni, alzare lo sguardo alle prossime generazioni e costruire strade, ponti e cattedrali? Se taceremo, grideranno quelle pietre.