Contro l’effetto serra si riparte da Nairobi
Le cassandre inascoltate sono purtroppo antiche quanto l’umanità, dacché la più famosa di esse trovò posto, come tutti sappiamo, nei poemi omerici. Se guardiamo ai giorni nostri, argomenti controversi eppure cruciali per il nostro futuro, intorno ai quali diverge il parere dei governanti e della stessa pubblica opinione non sono pochi, a cominciare dalla guerra per contrastare il terrorismo, fino alla diatriba infinita che si trascina da decenni sulla necessità di ridurre l’inquinamento atmosferico, con l’intento quanto meno di rallentare l’effetto serra di cui si stanno rivelando sempre più evidenti le conseguenze nel cambiamento del clima. Gli effetti dell’instabilità atmosferica sono sotto i nostri occhi e, per quanto si possano trovare riscontri storici a fenomeni analoghi causati da eventi del tutto indipendenti dall’uomo, ciò non toglie che si possa e si debba evitare che un evento analogo sia prodotto direttamente da sconsiderati comportamenti umani. Tanto più che l’aumentata popolazione del pianeta non consente quelle migrazioni di massa che un tempo si verificavano. Utili riflessioni si possono ricavare da due autorevoli rapporti, pubblicati il primo dalle Nazioni Unite ed il secondo dal governo britannico, nell’imminenza della conferenza sui cambiamenti climatici che si sta svolgendo a Nairobi proprio in questi giorni. Essi prendono in esame il quindicennio trascorso dalla firma dell’ormai famoso protocollo di Kyoto, supercitato per quanto disatteso. In primo luogo perché troppi Stati, fra cui alcuni grandi inquinatori, non vi hanno aderito; e poi per lo scarso entusiasmo degli stessi firmatari, penalizzati – lo si deve pur dire – dal fatto che i trasgressori traggono nell’immediato vantaggi economici non indifferenti nei loro confronti. Tuttavia qualche risultato lo si è visto, se è vero che negli Stati firmatari le emissioni dei gas nocivi sono calate mediamente del 15 per cento rispetto ai valori del 1990, mentre nel resto del mondo sono aumentate dell’11 per cento. Di questo quadro, solo parzialmente positivo, gran merito va ai Paesi dell’Europa Centro-orientale che nel passaggio dall’economia di Stato pianificata a quella di mercato, hanno ottenuto una riduzione di emissioni nocive di ben il 36,8 per cento. Effetto positivo, questo, che purtroppo si è già concluso essendosi in questi Paesi avviata ormai una nuova fase di forte sviluppo. Il quadro più allarmistico, comunque, è quello prospettato dal Rapporto Stern, che lo stesso Blair ha definito come il più importante documento sul futuro pubblicato dal suo governo. In esso si afferma che gli effetti sul clima del pianeta, di cui si stanno avvertendo i prodromi, potrebbero produrre una caduta del prodotto interno lordo mondiale addirittura del 20 per cento, a causa del riscaldamento della Terra. Una vera devastazione capace di generare una crisi peggiore di quella della grande depressione del 1929 o delle due guerre mondiali, aggravata da una fluttuazione di profughi calcolata nell’ordine di 200 milioni di individui. Considerato che ormai sono schiaccianti le prove scientifiche che attribuiscono ai gas nocivi questo effetto serra, si può capire l’urgenza di introdurre una serie di tasse verdi per orientare l’attenzione e quindi la risposta internazionale su questo problema. È infatti indispensabile, conclude il rapporto, ottenere una riduzione delle emissioni del 60 per cento entro il 2050. Da parte nostra non possiamo che vedere con interesse gli sforzi che anche in Italia si stanno facendo per questo adeguamento (penso alla tassa sulle auto più inquinanti). Sforzi tuttavia che saranno vanificati se non si otterrà un più ragionevole orientamento in questo senso anche da parte dei grandi inquinatori, come gli Stati Uniti che non hanno certo mostrato finora una sufficiente comprensione della gravità del problema.