Contro la noia del 2002
Sembra che, con tutti gli avvenimenti internazionali drammatici in cui siamo più o meno coinvolti, ci sia poco da annoiarsi. E se non ci fossero, sembra che basterebbe la frenesia quotidiana delle scadenze e dei martellamenti massmediatici, a non farci annoiare. Eppure: non raramente un giovane si uccide (e mille altri ci provano) lasciando scritto più o meno questo concetto: ho provato tutto, non vedo perché dovrei continuare a vivere. Questa, in pace o in guerra, si chiama noia, noia radicale. Ed è più sottile delle sottili polveri inquinanti che ci preoccupano. La noia, diceva Leopardi, che se ne intendeva più di Schopenhauer e di Nietzsche, “è il più sublime dei sentimenti umani”. perché nasce dal “non poter essere soddisfatto da alcuna cosa terrena (…) e trovare che tutto è poco e piccino alla capacità dell’animo proprio”. Ciò significa, se è vero (come universalmente sembra), che nel mondo contemporaneo la noia si è enormemente accresciuta: perché mai come oggi si è puntato tanto sulle cose, dai “beni” ai “divertimenti”, per popolare l’esistenza; ma essendo le cose (e tanto più i divertimenti) “poche e piccine alla capacità dell’animo proprio”, si è allargato il vuoto, dunque la noia. Il teorema, cosi, inesorabilmente giunge al come volevasi dimostrare. Ma il discorso fortunatamente non finisce, anzi comincia, qui. Leopardi era diventato materialista, per una sua scelta disperata, senza però perdere niente del talento spirituale che ne animava l’intelligenza e la sensibilità (questo è il “miracolo” del suo pensiero e della sua poesia). Come Pascal, sapeva che il divertissement è solo una deviazione cieca, un depistaggio dalla verità dell’esistenza; ma purtroppo temeva sopra tutto questa verità, per lui negativa (come poi per Nietzsche). E qui il discorso sulla noia prende una stradina apparentemente incerta, in realtà la sola utile oggi: quella, cioè, che non punta a una verità bella e astratta, da filosofi, che bastava in altre epoche, magari in forma di aforismi e proverbi, per il vivere quotidiano; ma punta a un qualcosa che non è immediatamente classificabile e fruibile, se non nella forma di una esperienza vitale (= il contrario della noia). Insomma, non può essere un caso, e neppure un frutto di ignoranza o pigrizia, che animi attivi e tormentati come quelli di Leopardi e di Nietzsche sentissero terribilmente la noia e al contempo temessero il peso deprimente e, sì, noioso, della verità. “Oh infinita vanità del vero!”, esclama Leopardi. “Abbiamo l’arte, per non naufragare nella verità “, dice Nietzsche. Il fatto è che con loro, e poi fino a noi, giungeva al capolinea la cultura occidentale della verità astratta, solo mentale, solo teorica. Che importa la più sublime verità, se non è vita ma noia dilatata nel vuoto? Allora è proprio vero che questo esito negativo della cultura e del costume del nostro occidente è anche la prova paradossale, che non siamo fatti per la paralisi della verità-noia ma per percorrere la via di una verità-vita. Ma via-verità-vita definisce se stesso Gesù nel Vangelo di Giovanni: da una breve analisi storica e culturale, credo condivisibile da tutti, siamo arrivati (chi scrive non lo sapeva poco fa) a dedurre, dalla necessità dell’esistenza una frase del Vangelo; e questa sembra proprio la prova che essa è scritta nella vita di ogni uomo prima che in un testo della rivelazione cristiana. Ma questa frase non approda, a sua volta, in una verità astratta, traducibile, per esempio, in un: se vuoi vivere felice, fa’ in modo che la via sia la verità e la vita; lasciandoti nell’imbarazzo, nella noia di prima. Dice invece che, poiché la via la verità e la vita sono “io”, ovvero Gesù Cristo, egli non è un’idea, un teorema, o un’ideologia, come oggi si sente molto impropriamente dire. E dice ancora, che questa identità tra lui via-verità-vita e il desiderio di ogni uomo è intima ad ogni esistenza, anche se sconosciuta e insperata. Ciò, senza richiedere a nessuno preventivamente una “tessera” di fede, propone però a ciascuno, per estirpare la sua noia, di intraprendere il percorso della “caccia al tesoro” che una frase del Vangelo, tappa per tappa, traccia nel vivo dell’esistenza.