Contro il progetto TotalEnergies

Friends of the Earth, Survie e quattro associazioni ugandesi accusano TotalEnergies di violazione dei diritti umani e di elevato impatto ambientale per il progetto estrattivo avviato in Uganda e Tanzania.
TotalEnergies (AP Photo/Rafael Yaghobzadeh, File)

Un gruppo di politici, scienziati e leader di Ong, lunedì 10 ottobre ha lanciato un appello pubblico per bloccare un mega progetto petrolifero del gruppo TotalEnergies in Uganda e Tanzania.

La multinazionale francese è accusata di aver realizzato un progetto petrolifero che viola i diritti umani e dell’ambiente: i rappresentanti di TotalEnergies sono stati convocati mercoledì 12 ottobre 2022 davanti al tribunale di Nanterre, a Parigi. Secondo il collettivo accusatore, questo progetto farebbe aumentare il cambiamento climatico con il suo seguito di disastri mortali.

Il gruppo petrolifero francese è stato accusato nell’ottobre 2019 da Friends of the Earth, Survive e quattro associazioni ugandesi di non rispettare la legge francese sulle multinazionali, nota come “Rana Plaza” (dal nome di un edificio crollato a Savar, in Bangladesh, nel 2013). Tale legge obbliga le multinazionali a «prevenire gravi violazioni dei diritti umani, della salute e sicurezza delle persone e dell’ambiente» da parte dei loro subappaltatori e fornitori esteri, attraverso un “piano di vigilanza”.

Le sei Ong accusano Total di non tenere conto degli impatti sociali e ambientali del progetto di sfruttamento dei giacimenti petroliferi situati sulle sponde del lago Albert, nell’Uganda occidentale, e dell’oleodotto di 1.445 Km che trasporterà combustibili fossili attraversando Uganda e Tanzania per raggiungere il porto di Tanga, sull’Oceano Indiano.

La costruzione dell’oleodotto sarebbe accompagnata anche da violazioni dei diritti umani. Si stima infatti che più di 100 mila persone dovranno essere sfollate. Alcune migliaia hanno già visto le loro case abbattute per consentire la costruzione di strade di accesso o dell’impianto principale di lavorazione. «Le persone espropriate dovrebbero ricevere un risarcimento equo e preventivo, ma in realtà sono state private della loro terra prima di ricevere qualsiasi rimborso – ha affermato un attivista –. Alcuni hanno aspettato invano per quattro anni, altri dicono che hanno dovuto andarsene cedendo alla costrizione».

Il progetto è attaccato anche per il suo impatto sul clima, con una produzione stimata dalle Ong in «34 milioni di tonnellate di CO2 l’anno, molto più delle [attuali] emissioni combinate di Uganda e Tanzania».

Secondo le Ong, in Tanzania, Paese rinomato per la sua biodiversità, l’oleodotto «avrà un impatto su un territorio abitato di quasi 62 mila persone e minaccerà oltre 2 mila chilometri quadrati di riserve naturali».

Per TotalEnergies, invece, questo progetto «costituisce una grande sfida di sviluppo per Uganda e Tanzania». Il gruppo francese afferma che sta facendo «ogni sforzo per renderlo un progetto esemplare in termini di trasparenza, prosperità condivisa, progresso economico e sociale, sviluppo sostenibile, rispetto dell’ambiente e dei diritti umani».

Il progetto è comunque entrato in fase operativa da febbraio scorso. TotalEnergies ha annunciato un investimento da 10 miliardi di dollari e un accordo con Uganda e Tanzania, e con i cinesi del Cnooc group (China National Offshore Oil Corporation), per avviare la produzione a partire dal 2025.

Scoperte nel 2006, le riserve petrolifere dell’Uganda hanno suscitato in alcuni la speranza di trasformare la regione in una sorta di Eldorado. L’estrazione potrebbe durare dai 25 ai 30 anni, con un picco di produzione stimato in 230 mila barili al giorno e l’impiego di decine di migliaia di lavoratori locali.

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