Il contrasto all’impoverimento in un Paese diseguale

La pandemia ha aggravato le diseguaglianze, come conferma Tiziano Treu del Cnel. Gli effetti della guerra incide sul prezzo dei beni alimentari e il costo delle bollette insostenibili per le famiglie con redditi medio bassi. Intervista a Luciano Gualzetti, direttore della Caritas ambrosiana, a proposito di Reddito di Cittadinanza, prevenzione dell’indebitamento e la spettacolarizzazione della povertà che non aiuta a cogliere la causa del problema. (Prima parte)  
Impoverimento famiglie, Foto mercato Milano Foto Gian Mattia D'Alberto - LaPresse

Impoverimento da pandemia e guerra? Nonostante le conseguenze della guerra in Ucraina, secondo Mario Draghi l’Italia non entrerà in recessione economica in questo 2022. Sta di fatto che, per molte famiglie, l’enorme aumento delle bollette di luce e gas costituisce un costo insostenibile anche per i redditi medi.   Come conferma l’ultimo rapporto Oxfam sull’Italia, nel nostro Paese è rilevante il fenomeno della povertà lavorativa, di coloro cioè che, pur avendo un’occupazione, percepiscono un reddito basso che li espone al progressivo impoverimento.

Più in generale, come ha osservato di recente il presidente del Cnel, Tiziano Treu, sono evidenti gli effetti della pandemia che «ha aggravato non una ma molte dimensioni delle diseguaglianze già esistenti nel Paese».

Ne abbiamo parlato con Luciano Gualzetti è presidente della Consulta nazionale anti usura e direttore della Caritas ambrosiana, una realtà che copre la vasta area del territorio metropolitano oltre a parte di altre province lombarde.

 Come si legge l’osservazione di Treu a partire dalla vostra esperienza in un’area tra le più ricche a livello europeo? Non è stato forse il Reddito di Cittadinanza (RdC) una misura di carattere universale che ha attutito l’impatto della crisi da pandemia?
Secondo l’ultimo rapporto sulla povertà dell’Istat (su dati 2020), le famiglie e gli individui in condizioni di povertà sono sicuramente aumentati a causa della pandemia. Però l’intensità della povertà assoluta – che misura in termini percentuali quanto la spesa mensile delle famiglie povere è in media al di sotto della linea di povertà (cioè “quanto poveri sono i poveri”) – ha fatto registrare una riduzione rispetto all’anno precedente (dal 20,3% al 18,7%) in tutte le aree geografiche del Paese. Su tale dinamica hanno sicuramente inciso le misure messe in campo a sostegno dei cittadini (tra le quali il Reddito di cittadinanza, il Reddito di emergenza, l’estensione della Cassa integrazione guadagni, ecc.), che hanno consentito alle famiglie in difficoltà economica – sia quelle scivolate sotto la soglia di povertà nel 2020, sia quelle che erano già povere – di mantenere una spesa per consumi non molto distante dalla soglia di povertà.

Il Reddito di Cittadinanza introdotto in Italia resta tuttavia al centro di molte polemiche …
Il Reddito di Cittadinanza ha qualche limite, come evidenziato dal monitoraggio di Caritas Italiana realizzato lo scorso anno a partire dai dati dei nostri centri di ascolto. Confrontando i dati nazionali con quelli della diocesi ambrosiana, abbiamo avuto ulteriore conferma di tre tendenze: le famiglie povere escluse dal RdC tendono più di frequente a risiedere nel Nord, ad avere figli minori, ad avere un richiedente straniero. Alla luce di queste considerazioni, si può affermare che il RdC è stata una misura importante, risultata però meno efficace nei confronti di alcune fasce della popolazione, ad esempio le famiglie numerose e i residenti stranieri.

Anche chi ha un contratto di lavoro regolare si trova spesso a percepire redditi bassi che non permettono di affrontare spese impreviste come quelle del rincaro delle bollette che è destinato a restare in considerazione del caos geopolitico in corso. Come fanno le famiglie a contrastare questa spinta all’impoverimento senza ricorrere a prestito sempre più insostenibili, cadere nella trappola dell’azzardo di massa e non finire nel gorgo dell’usura? Andrebbe subito precisato che il ricorso a prestiti non è la soluzione per contrastare l’impoverimento e tanto meno lo sono il gioco d’azzardo e il ricorso agli usurai. L’assunzione di un prestito deve sempre partire dalla valutazione della possibilità di rimborso e di quanto il rimborso incide sull’economia familiare e quanto impegna il reddito futuro. Questa consapevolezza non è di tutti. Molte delle persone che incontriamo nei nostri Centri di Ascolto non hanno le conoscenze per gestire gli strumenti di debito proposti dal sistema finanziario. Un prestito, poi, deve sempre far parte di un “progetto” consapevole e deve essere fatto da chi ha capacità di gestione e di previsione da una parte, ma anche di reale sostenibilità e capacità di restituzione.

Come si può intervenire per prevenire i problemi più gravi per le famiglie?
I rincari, temporanei o strutturali, si combattono, a livello personale, riducendo i consumi non necessari e ricorrendo alla solidarietà di chi, come Caritas, si impegna a dare supporto ai soggetti più deboli. Contestualmente, occorre un intervento a livello sociale per ridistribuire la ricchezza e ristabilire gli equilibri. Sul territorio, poi, possono intervenire i centri d’ascolto, in grado di valutare, consigliare e intervenire efficacemente e immediatamente. Anche le Fondazioni antiusura possono avere un ruolo determinante, fornendo l’assistenza e la consulenza necessarie per evitare che soggetti poco o per niente abituati a destreggiarsi con finanziarie e banche, assumano impegni finanziari che diventeranno poi insostenibili. In questi casi, l’azione di prevenzione e la cultura all’utilizzo responsabile del denaro è il fattore più importante per prevenire il sovraindebitamento. L’indebitamento non è mai solo una questione economica, ma anche culturale. Vanno promossi temi come la sobrietà, la legalità, la solidarietà.

Non le sembra che sia inopportuna e deleteria la tendenza alla spettacolarizzazione dei poveri, categoria generica, con l’esibizione di mense e iniziative dedicate a loro?
Questa tendenza è un rischio ciclico, già visto all’opera in occasione di precedenti crisi. I poveri vengono “scoperti” o “riscoperti” quando fa comodo, per ragioni relative al dibattito politico e all’ottenimento di una più vasta audience mediatica. Però bisogna anche considerare che siamo reduci da anni di effettivo e robusto ampliamento della compagine dei poveri, documentato da Istat e altre fonti (tra cui Caritas) nel nostro Paese. E che, quando questo succede, i media non possono ignorare il fenomeno, e hanno bisogno di rappresentarlo. Ricorrendo a immagini emblematiche, che nel caso della povertà – dinamica sociale per sua natura marginale, nascosta, tendente all’invisibilità – facilmente diventano quelle di mense e altri centri collettivi d’aiuto. Più che la spettacolarizzazione tramite quelle immagini, ciò che deve preoccupare è dunque la sottovalutazione del fenomeno della povertà – nelle sue multiformi cause e manifestazioni – nei periodi in cui esso non raggiunge dimensioni acute, e la tendenza alla sua semplificazione e riduzione ad alcuni stereotipi. Per essere sintetici: si può comprendere ed entro certi limiti accettare che il giornalismo ricorra ad alcune immagini convenzionali per rappresentare la povertà “di massa” nei momenti di emergenza (anche perché è vero che in quei momenti mense, dormitori e altri servizi simili sono sovraccarichi di richieste), molto meno che i media non si attrezzino (fatte salve lodevoli eccezioni) per indagare con costanza, per sedimentare conoscenze articolate e per formare professionisti preparati riguardo ai fenomeni strutturali di povertà, che percorrono stabilmente le nostre pur ricche società.

Fine prima parte intervista

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