Conte bis, il governo ha giurato

Ha giurato questa mattina il nuovo governo Conte. Ventuno ministri, di cui dieci espressione del Movimento 5 Stelle, 9 del Pd, uno di Leu e un tecnico. Proprio quest’ultimo, la prefetta di Milano Luciana Lamorgese, sarà a capo del ministero dell’Interno: una scelta, secondo alcuni commentatori, dovuta alla precisa volontà di non politicizzare un dicastero che invece era stato pesantemente – e in maniera controversa – politicizzato con il leader della Lega Matteo Salvini.
Un segnale preciso sotto il profilo politico arriva invece dall’altro ministero “sensibile”, quello dell’Economia: sarà infatti guidato dall’europarlamentare Pd Roberto Gualtieri, inserito da Poitico.eu tra i tre nomi più influenti dell’emiciclo di Strasburgo. A fronte di una manovra che non si prospetta facile, dunque, la scelta è stata quella di un ministro che possa porsi come interlocutore autorevole nei confronti di Bruxelles.
Più controversa la nomina di Luigi di Maio, capo politico del M5S, al ministero degli Esteri: persino Le Figaro ha ironizzato sul fatto che non conosca l’inglese. Al di là di quello che potremmo derubricare a problema risolvibile con un buon interprete, la polemica si è concentrata su quella che è stata vista solo come una “ricompensa” per aver rinunciato alla vicepresidenza del Consiglio.
Seguono il Pd Lorenzo Guarini alla Difesa; Dario Franceschini che ritorna al ministero della Cultura; la dem Paola De Micheli ai Trasporti – e molti non hanno mancato di notare come, dopo i casi Tav e concessioni autostradali, il dicastero sia passato dal M5S al Pd –; il M5S Lorenzo Fioramonti all’Istruzione; il M5S Stefano Patuanelli allo Sviluppo Economico – in continuità con la gestione Di Maio, di cui è considerato in fedelissimo -; la M5S Nunzia Catalfo al Lavoro – anche qui un segno di continuità, essendo la madrina del reddito di cittadinanza -; Roberto Speranza, unico esponente di Leu, alla Salute; Sergio Costa, M5S, confermato all’Ambiente; Federico d’Incà (M5S) ai Rapporti con il Parlamento; Paola Pisano (M5S) all’Innovazione tecnologica; Fabiana Dadone (M5S) alla Pubblica Amministrazione; Francesco Boccia (Pd) agli Affari regionali; Elena Bonetti (Pd) alle Pari opportunità e Famiglia; Enzo Amendola (Pd) agli Affari europei; Vincenzo Spadafora (M5S) alle Politiche giovanili e allo sport.
Variegate, naturalmente, le reazioni: se in quel di Pd e M5S si tira un sospiro di sollievo a trattativa conclusa, mentre anche i mercati salutano con favore la chiusura della fase di incertezza, con lo spread che rimane sotto i 150 punti base, Fratelli d’Italia annuncia la discesa in piazza per lunedì 9 settembre a protestare contro “il governo più a snistra della storia repubblicana, mentre l’Italia è a destra”; protesta alla quale ha aderito anche Matteo Salvini con la Lega, questa mattina ai microfoni di Radio anch’io. Confermata la contrarietà anche del resto del centrodestra, mentre si spacca Più Europa: Emma Bonino e Benedetto Dalla Vedova hanno infatti deciso di schierarsi all’opposizione, mentre Tabacci, Magi e Fusacchia sosterranno il nuovo esecutivo.
E all’estero? Nelle pagine degli esteri dominate dalla faccenda Brexit, le vicende italiane non hanno avuto moltissima eco. Sostanzialmente nulla sui giornali americani e russi; mentre in Inghilterra il Guardian si concentra come “Matteo Salvini sia stato sostituito da una specialista dell’immigrazione al ministero degli Interni”, ricapitolando le ultime vicende relative a navi Ong e decreto sicurezza. In Spagna, El Paìs si limita sostanzialmente ad un resoconto fattuale; mentre La Vanguardia definisce “sorprendente” questa coalizione. Anche Le Monde, in Francia, titola su come “gli antichi nemici formano insieme un nuovo governo”; e le Figaro definisce “inedita” l’alleanza.
I più sagaci, però, sono – anche questa volta – i giornali tedeschi. Se Der Spiegel titola su Di Maio ministro degli Esteri, definendolo come “un populista” in un dicastero importante, la Süddeutsche Zeitung parla di “deciso cambio di direzione a Roma”, e si concentra su come i rapporti con i mercati e con l’Unione europea siano ora in prospettiva più semplici. Più dubbi invece su Di Maio, definito “tutt’altro che un esperto di politica internazionale”: ricordando le sue innumerevoli gaffe in proposito, come quella di aver collocato Pinochet in Venezuela, e l’aver cercato un’improbabile intesa con i gilet gialli francesi. Senza dimenticare, in chiusura del pezzo, che “l’Italia si chiede per quanto durerà questa coalizione”. Luci ed ombre, insomma, come del resto hanno rilevato anche i commentatori di casa nostra.