Contaminazioni da dialogo

Silvano e Claudio raccontano l’esperienza di dialogo all’interno del Movimento dei Focolari e il loro impegno comune nello sviluppo di progetti di fratellanza e di promozione umana

Due persone della stessa generazione, settantenni e oggi pensionati, si trovano in un momento della loro vita, per tanti aspetti molto diversa, a condividere un ideale, l’unità, che interpreta le loro più grandi aspirazioni. Claudio lo vive da credente, Silvano da agnostico. Insieme ricordano, si raccontano e ci raccontano le origini, le ragioni e i possibili sviluppi della loro esperienza di dialogo.

Com’è avvenuto, Silvano, il tuo contatto col Movimento?

Silvano – Attraverso l’invito di un’amica a partecipare ad un incontro pubblico sull’Economia di Comunione. Io, lavorando nel movimento sindacale, ho accettato volentieri. Successivamente sullo stesso argomento sono stato invitato da Germano e Ada Tomesani ad un altro incontro, incentrato sempre sull’Economia di Comunione, in cui anch’io sono intervenuto, ragionando con un argomento apparentemente dirompente, ma un po’ lo è stato per le reazioni: avevo parlato della realtà e della necessità del conflitto per lo sviluppo democratico della società. In quella circostanza qualcuno non ha gradito il mio intervento, forse male interpretato; tuttavia, Germano ha colto con interesse le mie esternazioni e dopo qualche tempo sono stato nuovamente invitato, questa volta a Loppiano, per un incontro di dialogo tra persone di convinzioni diverse. Da qui nasce e matura la mia esperienza nel Movimento dei Focolari a contatto con amici che come me non avevano un credo religioso e con altri che invece professavano una fede religiosa.

Tu che sei credente, Claudio, come sei entrato in contatto con l’ambiente del dialogo con persone di convinzioni non religiose?

Claudio – Conoscevo la spiritualità del Movimento da una decina d’anni e continuavo a frequentare amici di lunga data che non praticavano la religione e con i quali condividevo gli stessi ideali umanitari. Quando nel Movimento dei Focolari hanno conosciuto anche questa mia esperienza, sono stato invitato ad un convegno del Dialogo. In seguito, abbiamo partecipato insieme a quasi tutti gli incontri e i convegni nazionali e internazionali del Dialogo, contribuendone spesso all’organizzazione e approfondendo così anche la nostra conoscenza.

Cosa ti ha attratto, Silvano, del pensiero di Chiara Lubich?

Silvano – Mi ha attratto soprattutto la prospettiva politica del pensiero di Chiara Lubich che trovavo ben espresso nell’Economia di Comunione e nell’Ideale del Mondo Unito. Questi due argomenti erano compatibili con tutta la mia esperienza, prima politica e poi sindacale, ferme restando alcune differenze di metodo e di sostanza. In particolare, io ho sempre vissuto con grande convinzione l’ideale di fratellanza universale e anche di cittadinanza universale, frutto della visione “internazionalista” del mio ideale marxista. L’Economia di Comunione poi mi si rivelava un argomento interessante da approfondire partendo dalle esperienze del Movimento sindacale italiano e dal mondo della cooperazione nelle attività produttive. Infine, è stata una graduale scoperta la ricerca e la necessità del dialogo tra persone e culture anche profondamente diverse.

Nei primi incontri e convegni, infatti, si manifestava più una rappresentazione delle differenze (si proveniva da esperienze politiche e partitiche diverse); man mano però che si procedeva nel dialogo alcune asprezze del confronto venivano accantonate e si procedeva con più attenzione,  procedendo con intese inizialmente parziali per arrivare ad intese poi successivamente condivise. In questo soprattutto ci sono state d’aiuto le parole che Chiara Lubich rivolgeva a tutti i membri del dialogo: “Il dialogo richiede l’affermazione sincera delle idee di ciascuno senza però volerle imporre”.

Tu, Claudio, come sei venuto a conoscenza del Movimento dei Focolari e a farne parte?

Claudio – Conoscere il Movimento dei Focolari intorno ai 30 anni è stato per me come la summa di tutte le aspirazioni che fino a quel momento avevano stimolato la mia ricerca ideale. Inizialmente erano la natura e le sue forme di vita, poi l’arte in tutte le sue espressioni, poi ancora l’architettura. Da adolescente mi ero allontanato dalla pratica religiosa; i valori della religione, acquisiti in famiglia, erano penetrati nella mia sensibilità, ma non trovavano riscontro e risposte nella pratica consuetudinaria e nella debole, a mio giudizio, testimonianza dei fedeli cristiani. Vivevo la contestazione di riflesso, soprattutto in famiglia. Aderivo intimamente alla protesta giovanile di quel tempo, ma rifiutavo l’ideologia marxista/leninista e soprattutto la violenza con cui questa, senza possibilità di contraddittorio, veniva imposta nella mia università. A 20 anni, al secondo anno universitario, un episodio (la tragica morte di un compagno di studi) riaccende in me la convinzione dell’esistenza di Dio.

Comincio a prestare attenzione alla contestazione non violenta messa in atto da gruppi giovanili che mi invitano a marce per la pace, all’organizzazione di mercatini a favore delle popolazioni dell’Africa, a trascorrere le domeniche presso un istituto per bambini disabili per animarli e farli giocare. Una ragazza di questi gruppi un giorno mi prestò un libro di Martin Luther King intitolato La forza di amare. In quelle pagine l’autore affrontava i problemi della gente nera d’America partendo ogni volta da una frase del Vangelo che ne indicava la strada non violenta. Scoprivo che il Vangelo poteva farmi agire concretamente nella società secondo quei valori acquisiti in famiglia che avevo categoricamente messo da parte. Terminati gli studi e il servizio militare, col matrimonio inizia un periodo di impegno, condiviso con mia moglie, di testimonianza rivolta alla famiglia e alla formazione delle coppie che si preparavano al matrimonio cristiano.

Mi impegnavo politicamente candidandomi alle elezioni comunali, svolgevo attività di rappresentante sindacale sul posto di lavoro, scrivevo articoli di cronaca per un quotidiano locale, lavoravo come architetto professionista e contemporaneamente come insegnante di Storia dell’Arte al liceo artistico.  A poco a poco però, a parte la famiglia e il lavoro di insegnante che amavo moltissimo, tutto sembrava vano: il mio sogno di un’architettura capace di trasformare in benessere la quotidianità delle persone, si infrange contro una realtà speculativa e spesso corrotta che mi piega a continui e deludenti compromessi; la politica è infestata da gruppi di potere che irridono la mia idealità; il giornale non pubblica più i miei articoli e le battaglie sindacali sono perse.

Mi cancello dall’ordine professionale e, invitato, accetto di partecipare con mia moglie ad un incontro del Movimento dei Focolari di tre giorni. Lì ho sentito che la mia ricerca era arrivata al traguardo: avevo trovato la risposta alle mie aspirazioni ideali; il Vangelo veniva vissuto alla lettera e con naturalezza, l’amore scambievole era la regola che governava tutte le relazioni e le azioni della vita, dalle più umili alle più complesse. Da allora ho visto nella mia vita una nuova speranza e non ho più smesso di voler vivere e lavorare così.

Silvano, parli della tua visione internazionalista frutto della formazione marxista: mi puoi dire come è nata e quali tappe ti ha fatto percorrere?

Silvano – Tu mi chiedi di raccontarti uno spaccato della mia vita che cercherò di riassumere nei tre momenti per me più importanti. Il primo riguarda la tradizione famigliare, di come mio nonno partecipando ad uno sciopero di braccianti agricoli nella campagne della bassa veneta, nell’Italia del nord, all’inizio degli anni ‘20 e sotto una grande quercia ancora esistente, veniva ucciso con una fucilata da un agguerrito proprietario terriero. La mia natura è rimasta fortemente impressionata da quell’episodio e fin da ragazzo ho manifestato simpatie per il movimento operaio e i suoi ideali rivoluzionari. Il secondo momento formativo è quello che genericamente viene definito movimento del ’68. Io ero studente dell’Istituto Tecnico Euganeo e partecipavo da protagonista al Movimento studentesco. Ero in collegamento con le altre scuole del comune, anche a livello provinciale, promuovevamo manifestazioni, scioperi, occupazioni. In quei momenti esprimevo tutta la mia idealità progressista e in particolare promuovevo la ricerca dell’unità tra studenti ed operai delle aziende del territorio. Senza peccare di romanticismo è stato un momento di grande conoscenza, di grande partecipazione e convinzione personali.

La violenza? Non la rinnegavo perché la ritenevo necessaria al raggiungimento degli obiettivi rivoluzionari, ma allo stesso tempo devo dire che l’adesione era puramente formale, quasi ideologica e per lo più legata alle manifestazioni dei movimenti di massa, ma mai praticata fisicamente e mai lontanamente pensata come strumento o metodo di aggressione fisica. In questo senso non seguivo i metodi di certe formazioni politiche giovanili. Il terzo momento è l’ingresso nel partito che in Italia rappresentava maggiormente la classe operaia: il Partito Comunista, di cui per tre anni sono stato anche funzionario nella federazione di Padova. Negli stessi anni sono stato eletto consigliere comunale nel Comune di Montagnana e ricoprivo il ruolo di capogruppo. Questa esperienza, nonostante gli anni turbolenti, è stata di una certa serenità, pensavo di aver trovato l’ambiente che mi indicava l’esercizio democratico per il raggiungimento dei miei obiettivi.

La naturale prosecuzione di questo mio percorso è stata l’entrata nel sindacato, dove trovavo l’espressione reale dei mie convincimenti attraverso la soddisfazione, magari parziale, di risultati pratici nell’interesse di lavoratori. Inizialmente lavoravo e seguivo i braccianti agricoli e i lavoratori dell’agricoltura e successivamente attraverso l’attività di funzionario dell’Ufficio Vertenze e Legale del sindacato (CGIL). È in questa fase della mia vita che entro in contatto col Movimento dei Focolari.

Quanto e come ha inciso, Silvano, nella tua vita personale e professionale l’incontro con il Movimento dei Focolari?

Silvano – L’incontro col Movimento dei Focolari è stato inizialmente lento e guardingo; approfondendo il dialogo, questa iniziale timidezza veniva in seguito superata dall’approfondirsi dei rapporti personali con amici del Movimento ma anche con altre personalità laiche e di orientamento diverso dal mio. Mi sono trovato in certe occasioni in un ambiente libero ed era una bella sensazione, provenendo da contesti politici e sindacali in cui c’era molta più rigidità nel confronto delle idee e nei rapporti interpersonali. Devo dire altresì che al ritorno nel mio luogo di lavoro la situazione si presentava complessa: da un lato c’era la volontà di inserire nei miei comportamenti questo nuovo sentire, dall’altro c’erano le contingenze, le difficoltà organizzative e le incomprensioni, che però non hanno ostacolato il mio tentativo di capire le ragioni altrui senza paraocchi e sempre nell’interesse esclusivo di coloro che si presentavano a me con richieste di aiuto. Più facile, direi “rivoluzionario”, è stato per me l’atteggiamento verso persone fuori dell’ambiente lavorativo.

Penso soprattutto al mio ingresso nel mondo del volontariato, fino ad allora a me sconosciuto. Ho già raccontato delle mie esperienze con gli immigrati, soprattutto con i bambini, che tentavo di aiutare nella loro crescita durante il percorso scolastico e anche, insieme ad altri, nelle loro difficoltà famigliari. Sono stati momenti di grande soddisfazione ed è qui che finalmente ha inciso l’ideale del Movimento nella mia vita personale. Naturalmente non tutto è stato facile e non tutte le esperienze sono state positive, però il mio atteggiamento non è mutato, come dice il poeta russo Esenin: «Io non sono mutato. Nel mio cuore non sono mutato…». Permettimi di dire un’altra cosa: ho incontrato all’interno del movimento del Dialogo uomini e donne eccezionali per pensiero e azioni; ricordo, ad esempio, l’esperienza di Antonella, a Milano, nel carcere di S. Vittore o le azioni di Armando per le famiglie di Betlemme e della ex Jugoslavia e poi di tanti focolarini e focolarine che ci hanno accompagnato e di cui ho apprezzato l’apertura mentale e lo spessore culturale.

Claudio, come ha inciso l’incontro col Movimento nella tua vita personale e professionale?

Claudio – Il mio incontro col Movimento dei Focolari ha segnato una svolta nel mio modo di essere cristiano e modificato il mio comportamento verso tutta la realtà. Con l’animo rinnovato dalle persone che mettevano in pratica le parole del Vangelo amandomi veramente come sé stesse e dall’amore che sempre più percepivo venire dall’Alto e che rifondava e consolidava la mia fede, ho guardato l’umanità senza i vecchi timori o pregiudizi, con lo sguardo aperto verso tutti. Camminavo per strada sentendomi più sicuro e capace di costruire concretamente, non solo idealmente, nuovi rapporti di fraternità. I primi risultati di questo cambiamento si sono manifestati in famiglia ma è stato soprattutto sul lavoro che la mia combattività, alimentata soprattutto dai pregiudizi ideologici, andava via, via scemando. Il mio atteggiamento diventava più mite e cercavo di mettere in pratica i principi del dialogo che avevo appreso, scoprendo che dalle diversità avevo tanto da imparare e che ognuna di queste diversità era portatrice di valori propri che, se non erano proprio  uguali ai miei, potevano però esserne complementari e, messi insieme, rappresentare un arricchimento reciproco.

Hai detto quanto hai ricevuto. Vuoi aggiungere, Silvano, ancora qualcosa su quanto pensi di aver dato al Movimento dei Focolari?

Silvano – In un simile contesto dove tutti, nelle loro diversità, sono portatori di doni specifici e proprio per questo accolti ed ascoltati, io penso di aver portato, in un mondo forse un po’ troppo idealizzato dove certe parole come gioia, amore, bellezza… apparivano l’esercizio di un rituale, qualche elemento di una realtà dove i rapporti e gli avvenimenti sono anche caratterizzati da contrasti e incomprensioni. Devo dire che vedevo esagerato questo loro atteggiamento e forse le mie osservazioni e comportamenti hanno aiutato a “rimanere coi piedi per terra” come raccomandava Chiara Lubich quando spiegava la necessità della presenza nel Movimento di noi amici non credenti. Forse proprio per questo nel Movimento ricevevo incoraggiamenti a non desistere dalle mie esternazioni.

Sono abbastanza orgoglioso al pensiero che alcuni miei interventi, nei vari congressi e negli incontri di lavoro, possano essere stati di utilità al progresso del dialogo. Ricordo, ad esempio, il mio insistere  sulle necessità di considerare il valore del dubbio, non come volontà negazionista, ma come impulso di ricerca. C’è stato un momento in cui noi due abbiamo riflettuto sul valore del dubbio, stavamo preparando, nel 2013, il convegno internazionale dal tema: “Parola di Dio – sapienza umana” ed io ho pensato di proporre, per un confronto con la Parola, l’analisi di una poesia di Bertold Brecht: “La lode del dubbio”. Io volevo affermare che il dubbio favorisce l’incontro e il dialogo tra persone di convinzioni diverse e ricordo che tu, in questo contesto, ti sei richiamato al dubbio di Gesù sulla croce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato…», che apre all’uomo il dialogo con Dio e viceversa.

Claudio: Sì, mi ricordo quanto ci fossimo confrontati sul valore laico-sapienziale del dubbio, e le sue corrispondenze nella sacra scrittura. In quella circostanza ho riconsiderato le mie certezze come un pericolo per il dialogo e l’unità; ci siamo trovati insieme a stimare il valore del dubbio che, pur da esperienze e visioni diverse, veniva da noi riconosciuto come via di apertura, presupposto necessario al dialogo e all’accettazione della diversità.

Silvano, in un tuo intervento del 2011 hai affermato: «…parafrasando Karl Marx e sostituendone i termini, direi: “O il dialogo (Socialismo) o la barbarie”». Sei sempre convinto che anche in questo momento di guerre e conflitti quella del dialogo sia la strada da percorrere, superando steccati ideologici, contrapposizioni etniche o religiose, interessi economici o nazionalistici, rischiando a volte anche l’emarginazione o l’impopolarità?

Silvano – Quando sono intervenuto al primo convegno internazionale del Dialogo organizzato dal Movimento dei Focolari, più di 30 anni fa, la prospettiva del mondo unito, che scoprivo in quel frangente, era credibile perché sostenuta da un processo quasi naturale, scaturito da movimenti di massa che nascevano un po’ in tutti i continenti (movimenti di liberazione, di decolonizzazione…). La realtà oggi è purtroppo cambiata, i conflitti nel mondo, le guerre e le divisioni sono aumentate e parole come pace e dialogo appaiono come vuote e senza prospettive anche quando vengono evocate da personaggi carismatici come per esempio papa Bergoglio. In qualche momento prevale il disincanto, ma, scherzando da vecchio marxista, io dico che ogni cosa in questo mondo ha sempre una spiegazione e che nulla è immutabile.

Alla tua domanda, su quale sia la strada da percorrere per far vincere il dialogo, è difficile dare una risposta netta; personalmente, anche in questo momento e nonostante tutto, io penso che l’unica strada che possa risolvere o almeno diminuire i contrasti personali o interpersonali, tra le classi sociali, tra gli Stati, sia sempre quella del confronto e del dialogo reciproco, anche della mediazione. Per fare questo serve una rivoluzione delle coscienze per un impegno civile responsabile e determinato: la volontà e il coraggio di andare contro corrente, di non avere paura di esprimere questi valori di fronte all’arroganza dei potenti; ognuno nel proprio ambito, con le grandi o piccole responsabilità assunte nella società, deve farsene portatore e divulgatore, valorizzando le non poche esperienze positive che ancora ci sono.

Tu, Claudio, cosa ne pensi?

Claudio – In linea di massima sono d’accordo. Per me, la rivoluzione delle coscienze a cui fai riferimento significa conversione del cuore, che spinge ciascuno ad interrogarsi sul senso della propria vita anche e soprattutto in relazione a quella degli altri. Nella mia vita questa conversione è iniziata nel momento in cui ho conosciuto la spiritualità dell’unità. Prima, per me, il mondo era diviso grosso modo in due fazioni: buoni e cattivi. Da una parte stavo io e dall’altra stava tutta quell’umanità che non la pensava come me. L’aver riscoperto, tutta nuova, la fraternità evangelica che unisce e riconosce tutti in un unico Padre che tutti ama infinitamente e indistintamente, ha attivato in me un vero processo di disarmo del cuore e della mente e di apertura verso ogni diversità.

Oggi, io credente e tu agnostico, dopo aver fatto entrambi la conoscenza dell’Ideale dell’unità e sperimentato i suoi frutti in anni di dialogo e di confronto tra valori laici e religiosi, ci troviamo uniti nel sostenere e lottare pacificamente per una società più giusta e in pace a tutte le latitudini.

Tornando alla domanda, il dialogo, anzi: «L’estremismo del dialogo», come l’ha definito nel 2015 Maria Voce, presidente del Movimento dei Focolari, in un suo intervento all’Onu, rimane anche per me l’unica strada, ardita, faticosa, estrema, capace di dare all’umanità la prospettiva di una vita guidata dalla fraternità e da tutte le sue nobili conseguenze. È possibile tutto ciò? La nostra piccola esperienza ci dice che è possibile, basterebbero uomini e donne di buona volontà, contaminati  nelle coscienze dalla visibile vicinanza, sul posto, di autentici testimoni del dialogo e della fraternità. Questa oggi è la grossa responsabilità nostra e di tutti coloro che vivono i nostri valori.

Silvano, quali possono essere i campi d’azione capaci di unire credenti e non credenti per  realizzare quella fraternità universale che, pur con percorsi diversi, rappresentava l’obiettivo dei nostri ideali giovanili?

Silvano – Sono principalmente gli stessi temi su cui abbiamo sviluppato il movimento per il Dialogo; abbiamo fatto congressi di grande fecondità e passione le cui tematiche sono ancora di attualità: la pace, la solidarietà, la povertà, l’ambiente, i giovani, la governabilità del mondo in senso democratico, la vita e le sue odierne problematiche…

Mi richiamo comunque al mio intervento, in un passato convegno, in cui suggerivo al Movimento dei Focolari, attraverso i suoi membri, un diretto impegno in politica, non solo in senso partitico, ma nel senso più ampio di partecipazione attiva a tutte le forme di vita pubblica. Ritengo infatti il pensiero di Chiara Lubich, legato sì ai valori spirituali ma anche umani della società, fondamentalmente politico.

Claudio: Individuare i campi in cui operare insieme è importante, però, per passare dalle idee ai fatti, concordo che occorrano uomini e donne con solide basi valoriali e con forti motivazioni etiche. In realtà, qualcuno con queste caratteristiche e che abbia assunto anche la forza carismatica del pensiero di Chiara Lubich è già uscito allo scoperto in Italia in varie tornate elettorali. Occorre forse incoraggiare ed allargare questo impegno, perché è proprio lì che credenti e non credenti, cresciuti alla scuola dell’unità, possono testimoniare insieme, proprio nella prassi politica così spesso divisiva, la via del dialogo, agendo uniti per il bene comune.

Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre rivistei corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons