Contagio No Tav

Le fiammate violente della contestazione in Val di Susa celano verità e menzogne. Meritano attenzione anche per la saldatura tra giovani e contestazione. Una proposta di Città Nuova al Governo
Corteo no Tav

Quando le contestazioni degenerano in violenza, la società, l’opinione pubblica pare d’improvviso – secondo le leggi della comunicazione mediatica – interessarsi a quel che fa rumore. Un interesse che comincia semplicemente come curiosità, per poi diventare maturità di discussione, per finire con l’invocare l’ordine per via di moti di paura. Siamo ancora nella discussione, non ancora alla paura, ma ormai si levano unanimi – quasi unanimi – richieste di interventi decisi e risolutivi del governo e delle autorità costituite. La ministra – nonna, la signora – prefetto Cancellieri, pare incarnare il miglior connubio possibile, direi antidoto, per l’attuale degenerazione delle contestazioni contro la costruzione dell’alta velocità in Val di Susa: la provata professionalità e l’età in cui si ha la sufficiente saggezza per affrontare le emergenze.
 
Monti ha deciso di non transigere: «Andiamo avanti con convinzione. La libertà di espressione del pensiero è un bene fondamentale, ma non saranno consentite forme di illegalità e sarà contrastata ogni forma di violenza». Le forze politiche che lo sostengono in Parlamento paiono seguirlo fedelmente anche in questo caso. Solo a sinistra – Vendola e Di Pietro – si invoca una tregua, un’idea di don Ciotti. Gli osservatori politici più illuminati invocano fermezza e dialogo, intransigenza contro i violenti e attenzione alle richieste dei valligiani, cioè manganello per i facinorosi e compensazioni pecuniarie per gli abitanti della Val di Susa.
 
C’è però un elemento che inquieta non poco: la saldatura ormai accertata tra la contestazione No Tav e la galassia dei centri sociali di tutta Italia. Le violenze che hanno accompagnato le manifestazioni di questi giorni in tutt’Italia ne sarebbero una conferma. Col 32 per cento di disoccupazione giovanile, con la chiusura di prospettive per qualsiasi giovane che oggi esce dalle nostre scuole e dalle nostre università, la crisi di senso che pare avvolgere le nostre società europee, lo spettro di ritrovarsi sul lastrico come la Grecia… Tutto pare concorrere a spingere le nuove generazioni verso la depressione e/o la contestazione. Ci sono le premesse per la creazione di quelle “acque stagnanti” nelle quali nascono e crescono i batteri del terrorismo? Non pochi osservatori lo temono.
 
Ma non siamo ancora lì. C’è tempo, forse, per recuperare il terreno perduto, approfittando in qualche modo del clima favorevole al dialogo pacato instaurato dal nuovo corso della politica nostrana. La stessa ministra Fornero ripete spesso che l’azione del governo tende a dar voce a chi non ha voce, a difendere i diritti di chi ancora non ha un lavoro, e quindi non ha una vita sociale adeguata.
 
Bisogna che le nuove generazioni si sentano ascoltate (primo passo), favorite dalla legislazione del lavoro (secondo passo, ben più difficile del primo), sostenute da un clima economico più favorevole (terzo passo, solo in parte dipendente dall’azione governativa). Ma non s’è ancora avviato il primo passo. Come potrebbe fare il governo? Con chi dovrebbe parlare? Con i No Tav? Con le vaghe istituzioni giovanili ufficiali italiane? Ritengo che Monti dovrebbe convocare a Palazzo Chigi i movimenti giovanili, cattolici e no, l’associazionismo civile, il volontariato… C’è solo l’imbarazzo della scelta! Coraggio, ascolti professor Monti, come ascoltava i suoi studenti fino a qualche mese fa. Lo faccia, perché il secondo e il terzo passo non possono essere efficaci se non si compie questo primo intervento. Crediamo che l’a priori positivo di cui gode nel Paese attualmente possa favorirla nel mettere in piedi una vera e propria consultazione nazionale della gioventù. Provi a convocare anche i centri sociali, magari usando della mediazione di don Ciotti.
 

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