Conseguenze di un referendum

Acqua pubblica. La legge di iniziativa popolare ancora da discutere e tante iniziative di un movimento che continua a non ricevere attenzione dai media
Referendum acqua

Oltre sessanta interventi da cinque minuti l’uno. Senza favori per i nomi più importanti e conosciuti. L’intero pomeriggio di sabato 2 luglio è andato avanti così tra i rappresentati di comitati locali, realtà associative e movimenti promotori del referendum sull’acqua pubblica riuniti in assemblea nazionale presso un cinema del quartiere Testaccio, a Roma.

 

Si trattava di persone non abituate a vincere. Di solito soccombenti davanti ad una maggioranza silenziosa che non sembra interessata ai quei volantini così pieni di parole che pochi leggono. Ma non è ancora tempo di andare al mare. Tante incognite si sono aperte prima ancora del 14 luglio, data della comunicazione ufficiale del risultato del referendum da parte della Cassazione.

 

Quale alternativa?

Una volta abrogata una legge, o una parte di essa, si tratta, infatti, di proporre un’alternativa coerente ma l’iniziativa torna in quel Parlamento che dal 2007 ha praticamente ignorato la proposta di legge di iniziativa popolare sottoscritta da oltre 400 mila cittadini. E forte diventa perciò la critica di chi accusa i referendari di aver fatto ingenuamente il gioco dei partiti interessati a continuare a gestire, con criteri clientelari e inefficienti, tutto il ciclo dell’acqua, costretti, invece, ad affidare ai privati con la norma del decreto Ronchi eliminata con il primo quesito del referendum.

 

Per “privati” si intende le stesse grandi società che sarebbero le sole in grado di investire quei miliardi di euro necessari per gli acquedotti pubblici. Flussi di denaro attirati da quella «adeguata remunerazione del capitale» eliminata con il secondo quesito del referendum che ha preso di mira un dettaglio centrale di una legge del 2006 introdotta dal centro sinistra.

 

Una gestione partecipata

La proposta immediata dei movimenti dell’acqua è quella di attivarsi per chiedere subito la riduzione delle bollette, togliendo la parte destinata a pagare non la fornitura del servizio ma il profitto delle aziende.

Una richiesta rivolta ai gestori dell’acqua e a tutte le istituzioni, a cominciare dal presidente della Repubblica.

 

Evidentemente si tratta di un incentivo verso il ritorno ad una gestione di tutto il ciclo dell’acqua in mano alle comunità territoriali, senza neanche la costituzione di società per azioni possedute dagli enti locali ma enti di diritto pubblico dove si prevede la partecipazione e il controllo dei cittadini. Sia come utenti che come lavoratori, con un richiamo esplicito a quanto previsto nell’articolo 43 della Costituzione.

 

Finanziamenti

Ma dove si prendono i soldi per gli investimenti non più rinviabili? Secondo i referendari, per esempio, dalla Cassa Depositi e Prestiti, società sotto controllo pubblico e delle fondazioni bancarie che, come si autodefinisce, «gestisce una parte importante del risparmio degli italiani, il risparmio postale, che convoglia in favore della crescita del Paese, finanziando i principali settori di interesse strategico».

 

Una proposta difficile da portare a compimento se solo si tiene conto che l’attuale presidente di questa Cassa, Franco Bassanini, si è schierato decisamente a favore del “no” nell’ultima campagna referendaria.

La riduzione dei fondi per gli enti locali e la crisi del debito pubblico sono alla base di nuove pressioni per la privatizzazione.

 

Così è significativo dare uno sguardo al ricco programma del Festival dell’acqua promosso a Genova agli inizi di settembre da Federutility, federazione delle imprese idriche, per farsi un’idea delle strategie in atto sulla gestione del ciclo idrico, assai lontane dalle proposte del Forum italiano dei movimenti per l’acqua pubblica che ha dato vita a quattro gruppi operativi interdisciplinari: qualità dell’acqua, vertenze sui territori, legge di iniziativa popolare e finanziamento per finire con quello sulle iniziative globali.

 

Vincere senza tivù

In ogni manifestazione, infatti, c’è sempre un rimando o una testimonianza diretta che viene dal Sud del mondo, come quella dei contadini boliviani di Cochabamba capaci di riconquistare la gestione dell’acqua ceduta, in un primo tempo, ad una società transnazionale. Un incoraggiamento per una sfida che sembra impossibile da vincere davvero. E da togliere, per prima cosa, da quel cono d’ombra successivo al risultato inaspettato del 12 e 13 giugno.

 

Come dice il responsabile dell’ufficio stampa del Forum: «Mi aspettavo, prima e soprattutto dopo il risultato, chissà quali inviti da programmi televisivi e invece quasi nulla». Un dato già in sé significativo: aver vinto nonostante la televisione. Potrà durare?  

 

    

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