Conoscere per votare con responsabilità, oltre la disillusione
Come dice con tono ironico Lorenzo Pregliasco, docente universitario di strategia elettorale e fondatore dell’agenzia You Trend, «generalmente gli elettori non votano sulla base dei “temi” e “i programmi” non interessano realmente quasi a nessuno».
Lo sanno bene coloro che, 30 anni fa, sull’onda del crollo traumatico dei partiti della prima Repubblica, si lanciarono generosamente a promuovere scuole di politica per formare nuovi quadri e militanti, salvo poi trovarsi di fronte la forza comunicativa del partito fondato in fretta da Silvio Berlusconi che riuscì inaspettatamente a battere la “gioiosa macchina da guerra” della sinistra, sicura di avere la vittoria in pugno.
Mai come negli ultimi tempi, inoltre, con il venir meno di appartenenze consolidate, la volatilità del voto è tale che la scelta, anche di recarsi al seggio, avviene nei giorni, se non nelle ore, precedenti la scadenza finale delle ore 23 del 25 settembre.
Con il suffragio universale, tutti possono andare a votare senza dimostrare di appartenere ad un ceto sociale che presupponga una conoscenza superiore: serve solo il documento personale e il certificato elettorale.
Sono pochi, tuttavia, a restare fedeli al principio base della partecipazione che richiede di “conoscere per deliberare”. E il “conoscere” in profondità non può limitarsi alle tabelle sinottiche che mettono in fila ciò che dicono i programmi su alcuni argomenti (seppure possano aiutare la loro conoscenza), ma avere un’idea della visione politica complessiva proposta dai diversi partiti che chiedono il voto. Altrimenti basterebbe affidarsi ai numerosi programmi di simulazione per farsi indicare il partito più vicino alle proprie idee. Programmi informatici gestiti da algoritmi rudimentali.
Sono da seguire, perciò, con attenzione quelle occasioni di dialogo proposte da associazioni e movimenti che hanno cercato in questo periodo di affrontare temi concreti nel confronto con i candidati senza cedere al format televisivo della risposta breve e ad effetto.
Per farsi un’idea della qualità di questi momenti di dialogo si possono, ad esempio, rivedere sul web il mosaico dei diversi dialoghi proposti dal Mppu o il confronto promosso dai giovani di Azione Cattolica, Acli, movimento Federalista europeo e Gioventù francescana.
Un criterio di valutazione significativo si può riscontrare quando il confronto parte da tesi ben definite, come ad esempio le istanze di politica ambientale presentate da Legambiente, che rappresentano una summa delle questioni decisive per l’attuazione del Pnrr sul quale si è manifestato man mano un dissenso sempre più esplicito delle associazioni ambientaliste verso la gestione del Ministero della transizione ecologica.
È interessante in tal senso la maturazione del movimento Friday For Future che è uscito dalla fase iniziale, tollerata se non blandita, di manifestazione spontanea giovanile per assumere i contorni di una rivendicazione politica che non fa sconti a nessuno. Lo sciopero per il clima indetto in 70 città venerdì 23 settembre, giorno di chiusura della campagna elettorale, è stato preparato da una settimana di lavori di un fine luglio caldissimo a Torino con la redazione di una Agenda climatica fatta di proposte concrete e radicali come, ad esempio, la scelta di rendere gratuiti i treni regionali e il trasporto pubblico locale o il divieto dei voli aerei privati perché «privilegio per pochi e fonte inutile di emissioni». Ad uno sguardo attento è interessante, in prospettiva, mettere in collegamento queste istanze con quelle che emergeranno dal raduno internazionale dei giovani di Economy of Francesco in corso in questi giorni ad Assisi.
I sondaggi di opinione dicono che la questione ambientale sia al centro della preoccupazione dei giovani, ma non si capisce come questo orientamento inciderà sul voto. Ad esempio nella Svezia di Greta Thunberg, cresce fortemente la destra che agita altri temi mentre i Verdi restano minoritari.
Si registra ad ogni modo in Italia una forte critica del mondo associativo verso le élites politiche. Riccardo Bonacina su Vita parla di un Terzo Settore che fa paura alla politica che lo considera solo una stampella del Welfare.
Per Gigi De Palo del Forum delle Famiglie, come già scritto nell’inchiesta sulle elezioni del numero di settembre di Città Nuova, i programmi dei partiti «non sembrano essere il frutto del reale ascolto dei bisogni e delle esigenze del Paese». In particolare «non è ancora chiaro che la natalità è la nuova questione sociale».
Ancor più dura la Rete dei numeri pari, nata da Libera, che riporta la posizione di oltre 600 associazioni, reti e comitati che parlano di «una campagna elettorale in cui è mancato il dibattito sulle priorità del Paese e sui problemi reali da affrontare. Senza ascolto e discussione sulle proposte in grado di migliorare la condizione materiale ed esistenziale della maggioranza della popolazione che continua a impoverirsi e a vivere una condizione di costante insicurezza sociale, minacciata da crisi climatica, rincari, precarietà e guerra». Associazioni che si danno appuntamento direttamente oltre il voto e la formazione del nuovo governo per un raduno in piazza il 5 novembre per rilanciare la loro agenda sociale e ambientale.
Anche la Cgil, non più catena di trasmissione nel sindacato di un partito (Pci) che non c’è più, persegue una sua strategia autonoma e ha indetto una manifestazione nazionale per sabato 8 ottobre.
Restando alle questioni di merito colpisce, ad esempio, quanto afferma il corposo rapporto della Fondazione Gimbe secondo cui «nessuna forza politica ha elaborato un piano di rilancio del servizio sanitario nazionale in grado di garantire alla popolazione il diritto alla reale tutela della salute».
Probabilmente il lavoro comparativo più esteso sui programmi è quello che ha compiuto il Forum diseguaglianze e diversità con l’intento di «valutare le proposte in termini del presumibile impatto sulla giustizia sociale e ambientale».
In questo quadro generale di scollamento tra proposte della società civile e i partiti politici si colloca la particolare situazione dei cattolici che si interrogano apertamente sulla loro irrilevanza nell’incidere sui contenuti dei programmi pur esprimendo, nei fatti, un impegno a tutto tondo e approfondito sulle grandi questioni sociali. La questione è stata oggetto il 20 settembre di un incontro nella sede storica dell’Istituto Sturzo con gli interventi di Andrea Riccardi, Marco Damilano, De Rita, Stefano Zamagni, Marco Tarquinio e Agostino Giovagnoli.
Secondo quest’ultimo, professore di storia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, è proprio il sistema della Seconda Repubblica che tende a privilegiare il conflitto e la contrapposizione ed è perciò inospitale nei confronti dei cattolici portatori di una visione globale attenta al bene comune. La polemica politica è ridotta a propaganda mentre «viviamo in una società complessa che ha bisogno dello sguardo cristiano per inglobare delle competenze di tipo geopolitico sulle grandi questioni che interessano il mondo di oggi». Inserendosi in questa riflessione il direttore di Avvenire, Tarquinio, ha affermato che occorrerebbe una visione come quella di Aldo Moro per uscire fuori dalla deriva attuale che sembra inarrestabile verso lo scontro senza alternative che sta portando il ritorno della guerra in Europa.
Valutazione e prospettive che vanno oltre il voto del 25 settembre, ma che saranno determinate dall’esito dei risultati di un appuntamento da non disertar,e ma da assumere con grande serietà. Numeri reali e percentuali che restano incerti fino all’ultimo nonostante la circolazione di sondaggi più o meno riservati.
Conoscere per votare resta l’esercizio di una sovranità conquistata a caro prezzo e da non buttare al vento.
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