Conoscere il gatto per nutrirlo bene
Nel precedente articolo abbiamo discusso delle possibili diete del cane e del gatto facendo solo qualche piccolo accenno ad alcune particolari esigenze dei felini. Oggi, invece, tratteremo più a fondo i loro bisogni nutrizionali. I gatti sono carnivori obbligati e, per questo, hanno bisogno di un elevato apporto proteico.
Il pasto deve essere costituito per la maggior parte dalla frazione proteica (45 per cento), (poiché una dieta povera di proteine e soprattutto di proteine di origine animale è mal tollerata) ed in minima parte dai carboidrati (4-5 per cento) che talvolta nei gatti possono essere responsabili di cattiva digestione per carenze enzimatiche, con fermentazione eccessiva e conseguente diarrea. La restante porzione della dieta è composta da grassi (45 per cento) e in minima parte da fibre. Inoltre, è necessario apportare con la dieta alcuni amminoacidi (arginina e taurina) la cui carenza può determinare gravi danni (anche irreversibili) ad occhi e cuore.
Tali amminoacidi sono presenti soprattutto nella carne. Tuttavia anche un eccesso di proteine è dannoso perché viene escreto dal rene sovraccaricandolo, lo stesso accade per le proteine di scarso valore biologico (quelle dei cereali), che vengono eliminate dai reni come scarto. Nell’alimentazione del gatto, poi, grande importanza ha la componente sensoriale (quella olfattiva e quella del gusto), da essa dipende la percezione del sapore e quindi l’appetibilità di un cibo che può essere migliorata agendo sull’odore (i gatti sono molto sensibili all’odore delle proteine animali), sul sapore, sulla consistenza (un cibo morbido ed umido è mangiato più facilmente dato che i gatti non sono in grado di masticare efficacemente) e sulla temperatura del cibo proposto (in natura il gatto mangia le sue prede ancora calde).
Una temperatura di circa 35° C è l’ideale perché esalta il profumo del pasto, un cibo troppo caldo, invece, viene spesso rifiutato. Tuttavia, a volte, il gatto rifiuta il cibo nonostante vengano rispettate tutte le suddette attenzioni. Il gatto, infatti, può respingere un cibo perché magari lo associa ad un evento negativo o doloroso (episodi di vomito o di reazione allergica) o a odori non gradevoli nel caso in cui, per esempio, abbiamo mescolato una medicina al cibo, oppure perché sta vivendo un periodo stressante (ambiente nuovo, ricovero in clinica o pensione), perché il cibo è carente di qualche minerale o vitamina, per un’aumentata attività sessuale o per uno stato di salute scadente (problemi respiratori che impediscono di sentire gli odori).
Così, un cibo monotematico può stancare un gatto fino a farlo diventare inappetente, nonostante sia una specie piuttosto abitudinaria nei propri gusti. Solitamente, infatti, i gatti, anche se apprezzano variare la dieta, lo fanno solo quando i cibi presentano gusti non troppo dissimili tra di loro (ricordiamo che si tratta di una specie carnivora e non di onnivori) e soprattutto se non sono particolarmente stressati (in tal caso preferiscono consumare pasti familiari). Anche una ciotola sporca o maleodorante (quelle di plastica) o il suo cambiamento di posizione, oppure rumori nell’ambiente o un diverso livello di luce possono influenzare il comportamento alimentare del gatto. In questi casi può essere utile impiegare dei diffusori ambientali di feromoni per rendere l’ambiente più accogliente e l’animale più tranquillo.
Anche il luogo ove solitamente viene proposto il pasto deve essere scelto con cura: deve trattarsi di un ambiente tranquillo (non una zona di passaggio) e distante da fonti maleodoranti (spazzatura o lettiera). Il cibo va lasciato sempre a disposizione, il gatto, infatti preferisce fare piccoli e ripetuti pasti (10-12) nell’arco delle 24 ore, trattarlo come se fosse un cane, cioè togliendo il cibo quando ha mangiato e riproponendolo solo al pasto successivo acuisce l’irritabilità e l’aggressività del gatto (si parla di sindrome del gatto tigre). Infine, a differenza del cane, i gatti non tollerano bene i digiuni prolungati, anzi, spesso possono condurre ad un danno epatico conosciuto come lipidosi epatica.
Da quanto detto fin ora è facile comprendere perché per il gatto, più che per il cane, sempre più spesso si scelga di affidarsi ad una dieta commerciale anziché cimentarsi quotidianamente con esigenze fisiologiche ed abitudini talvolta troppo impegnative.
(A cura della dott.ssa Letizia D'Avino – Centro medico veterinario "Zoe", via Aldo Moro 75, Somma Vesuviana, Napoli)