Conoscenza e rispetto per un dialogo di pace

Nel decennale della consegna del premio "Santa Maria Capua Vetere Città di pace" a Chiara Lubich, un confronto aperto tra un musulmano, un'ebrea, un filosofo non credente e la presidente dei Focolari a Santa Maria Capua Vetere, nel casertano
Santa Maria Capua Vetere

Che cos'hanno in comune un imam musulmano emigrato in Italia dalla Tunisia, un'anziana signora ebrea che ha vissuto l'orrore delle leggi razziali, un filosofo non credente e la presidente di un movimento nato nell'ambito della Chiesa cattolica? Una caratteristica fondamentale: la volontà di dialogare. Di mettersi in gioco, aprendosi all'altro, mostrando la propria identità e rispettando quella dell'interlocutore.

È quanto hanno fatto sabato 23 novembre a Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta, l'imam del comune di San Marcellino Nasser Hidouri, Alberta Levi Temin, tra i promotori dell'associazione Amicizia ebraico-cristiana, il filosofo Aldo Masullo e Maria Voce, presidente del Movimento dei Focolari, nel corso di un convegno organizzato a dieci anni dalla consegna del premio "Santa Maria Capua Vetere Città di pace" alla fondatrice dei Focolari, Chiara Lubich.

Di ritorno da un viaggio in Tunisia, il Paese in cui ha preso le mosse la cosiddetta "Primavera araba" e dove ha potuto verificare «la mancanza di dialogo che c'è tra fratelli che vivono nella stessa casa», Hidouri avrebbe dovuto partecipare all'incontro con alcuni amici musulmani, i quali, però, hanno rinunciato, perché, come ha spiegato, «vedermi insieme a un'ebrea per loro sarebbe stata una vergogna. Una reazione, la loro, dettata dalla paura», assolutamente non condivisa dall'imam, che ha sottolineato come «ebrei e cristiani sono miei fratelli».

Padre di tre figli nati in Italia, ma talvolta discriminati per il loro essere musulmani, Hidouri ha invitato i presenti a non creare divisioni tra le giovani generazioni. «E se ci sono domande alle quali non sappiamo dare risposte, non dobbiamo rispondere per forza. Come noi abbiamo risposto ad alcuni interrogativi insoluti dei nostri padri, i nostri figli daranno risposte alle cose che ancora non capiamo». L'importante è andare avanti insieme, «per un futuro più sereno».

Ma che cos'è il dialogo? Maria Voce lo ha spiegato partendo dall'esperienza di Chiara Lubich, che si era resa conto, viaggiando per il mondo, della presenza di grandi mali e dell'esistenza di tante, continue minacce di guerra, e si era chiesta cosa fosse possibile fare per promuovere la pace. La risposta era stata semplice, ma ardua: «Noi – aveva affermato –, dobbiamo fare in modo che questi fratelli si amino». E come ha risposto il Movimento dei Focolari a questo intento della fondatrice? L'esperienza maturata in questi sett'antanni di vita, ha spiegato Maria Voce, ha mostrato «una via privilegiata: il dialogo, che fa incontrare le persone, fa trovare punti in comune. Ma non il dialogo con le fedi o tra le fedi, ma il dialogo con le persone, da praticare con chi ci sta vicino, con un'apertura a 360 gradi, verso tutti. Un dialogo della vita».

E se, per chi crede, la spinta verso l'altro viene da Dio, per chi non ha una fede cosa può motivare il confronto con l'altro? Lo ha spiegato il filosofo napoletano Aldo Masullo, per il quale «ognuno porta dentro di sé una sua radicale e insuperabile solitudine». L'ideale, dunque, sarebbe «riuscire a rendere ogni solitudine compagna di altre solitudini, stabilendo ponti, luoghi di incontro», in cui ognuno supera la propria disperazione grazie alla fiducia che pone nell'altro, alla cui base c'è la «veracità» del rapporto. «Quando la fiducia vacilla c'è la guerra, perché la pace si basa sulla fiducia».

L'importante, ha spiegato Alberta Levi Temin, è conservare la dignità della propria cultura, avendo coscienza della propria condizione, e rispettare la dignità dell'altro. Non si devono temere le differenze, che sono invece una ricchezza. «Le nostre culture – ha affermato – devono essere conosciute e non l'una contro l'altra armate».

Il dialogo, dunque, come via privilegiata per la conoscenza e premessa per la pace. Una pace da vivere innanzitutto dove si abita, dove si lavora, come fanno in tanti, in una terra purtroppo nota in questi ultimi mesi soprattutto per l'emergenza rifiuti e per le sue implicazioni per la salute.

E in tanti, da queste parti, si impegnano per il dialogo, la fraternità. Vivendola. Come Antonio Casale, direttore del Centro Fernandes di Castel Volturno, che accoglie gli immigrati provenienti dai Paesi dell'altra sponda del Mediterraneo, o come Antonio Diana, imprenditore del settore dei rifiuti, che è andato oltre le logiche del compromesso e dell'illegalità, pur avendo avuto un padre assassinato dalla camorra per aver scelto di lavorare onestamente. Ma come fanno anche tanti giovani, vera speranza del territorio, impegnandosi in azioni concrete per la legalità, come ha dimostrato il "cantiere" che la scorsa estate ha radunato nel casertano centinaia di giovani, o per il rinnovamento della politica, affinché sia davvero a favore dell'uomo.

«Bisogna andare avanti con coraggio – ha detto loro Maria Voce – e non lasciarsi scoraggiare. Bisogna cancellare le parole "disperazione", perché insieme non si è soli, e "scoraggiamento", perché scoraggiarsi non è degno del popolo napoletano, che non si è mai scoraggiato e, anche se è stato soggiogato da altri popoli, è sempre stato capace di mettersi alla pari con loro grazie al suo coraggio». Avanti, dunque, nel dialogo "verace", con coraggio, rispetto e determinazione.
 

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