Congo, incertezza anche sulle legislative
Dopo le accuse di brogli alle presidenziali, la Commissione elettorale posticipa l’annuncio dei nomi dei parlamentari eletti. Tra ulteriori dubbi di irregolarità
Permane l’incertezza nella Repubblica Democratica del Congo, in seguito alle elezioni del 28 novembre. Dopo i disordini seguiti alle accuse di frode nelle presidenziali che avevano visto la conferma in carica di Kabila, la Commissione elettorale nazionale indipendente (Ceni) sembra in difficoltà anche con i risultati delle concomitanti elezioni legislative: il 18 gennaio, data in cui avrebbe dovuto rendere pubblici i nomi dei 499 deputati, ha infatti posticipato l’annuncio dei risultati a giovedì 26. Il ritardo, secondo quanto dichiarato al quotidiano di Kinshasa Le Potentiel, sarebbe dovuto alla lentezza nell’elaborazione dei dati nella capitale, fermi al 28 per cento delle schede scrutinate; e proprio la capitale è il punto più sensibile dato che vi risiedono oltre 10 milioni di persone, di cui molti disoccupati: una “bomba sociale” che esploderebbe facilmente all’aumentare della tensione, come ha ricordato l’ex sottosegretario di Stato americano Herman Cohen.
Un’altra macchia sull’operato della Ceni, che già aveva ricevuto gli strali di molte istituzioni internazionali, ong, e della stessa Chiesa cattolica: in una dichiarazione del 13 gennaio, la Conferenza episcopale aveva infatti chiesto ai membri della Ceni di «avere il coraggio rimettersi in discussione e correggere i gravi errori che hanno minato la fiducia in questa istituzione, oppure dimettersi»; appello al quale ha risposto il vice presidente della Ceni, Jaques Djoli, affermando ai microfoni di Radio Okapi che «le dimissioni sono un atto individuale, e la legge non prevede quelle collettive di un intero ufficio». La Conferenza episcopale aveva chiesto anche di rivedere la composizione della Commissione stessa, integrandovi alcuni membri della società civile per garantirne l’indipendenza. La credibilità del lavoro della Ceni sarebbe messa in dubbio dagli stessi candidati, tanto che secondo Radio Okapi una quarantina di loro avrebbe chiesto l’annullamento dei risultati.
L’incertezza del responso delle urne va quindi a minare la stabilità di un Paese già martoriato: l’agenzia AllAfrica.com ha recentemente riferito dell’uccisione di una quarantina di civili da parte dei ribelli ruandesi nella regione contesa del Kivu, nota per le sue risorse minerarie, che da tempo mettono questo Stato al centro di interessi non sempre chiari. La comunità internazionale, del resto, si sta defilando in quello che Le Potentiel definisce «un imbarazzo per tutto il mondo»: un gioco di parole che intende indicare sia un «per tutti» che – letteralmente – per il mondo intero, dagli osservatori internazionali che avrebbero lasciato il Paese nel silenzio totale, al Belgio – ex potenza coloniale – che ha solo saputo dire, per bocca del ministro degli Esteri Didier Reynders, che attende «la costituzione della futura assemblea nazionale». I vescovi hanno messo in guardia le autorità rispetto al fatto che «se continuano a governare con la prevaricazione, le tensioni che al momento sembrano sotto controllo prima o poi degenereranno in una crisi difficile da risolvere». La speranza è che i congolesi ascoltino l’appello a «non cedere alla disperazione, al pessimismo, alla violenza e alla xenofobia, ma si uniscano dietro ai valori democratici e cristiani della giustizia e della verità». Due parole che, per ora, sembrano essere negate.
Un’altra macchia sull’operato della Ceni, che già aveva ricevuto gli strali di molte istituzioni internazionali, ong, e della stessa Chiesa cattolica: in una dichiarazione del 13 gennaio, la Conferenza episcopale aveva infatti chiesto ai membri della Ceni di «avere il coraggio rimettersi in discussione e correggere i gravi errori che hanno minato la fiducia in questa istituzione, oppure dimettersi»; appello al quale ha risposto il vice presidente della Ceni, Jaques Djoli, affermando ai microfoni di Radio Okapi che «le dimissioni sono un atto individuale, e la legge non prevede quelle collettive di un intero ufficio». La Conferenza episcopale aveva chiesto anche di rivedere la composizione della Commissione stessa, integrandovi alcuni membri della società civile per garantirne l’indipendenza. La credibilità del lavoro della Ceni sarebbe messa in dubbio dagli stessi candidati, tanto che secondo Radio Okapi una quarantina di loro avrebbe chiesto l’annullamento dei risultati.
L’incertezza del responso delle urne va quindi a minare la stabilità di un Paese già martoriato: l’agenzia AllAfrica.com ha recentemente riferito dell’uccisione di una quarantina di civili da parte dei ribelli ruandesi nella regione contesa del Kivu, nota per le sue risorse minerarie, che da tempo mettono questo Stato al centro di interessi non sempre chiari. La comunità internazionale, del resto, si sta defilando in quello che Le Potentiel definisce «un imbarazzo per tutto il mondo»: un gioco di parole che intende indicare sia un «per tutti» che – letteralmente – per il mondo intero, dagli osservatori internazionali che avrebbero lasciato il Paese nel silenzio totale, al Belgio – ex potenza coloniale – che ha solo saputo dire, per bocca del ministro degli Esteri Didier Reynders, che attende «la costituzione della futura assemblea nazionale». I vescovi hanno messo in guardia le autorità rispetto al fatto che «se continuano a governare con la prevaricazione, le tensioni che al momento sembrano sotto controllo prima o poi degenereranno in una crisi difficile da risolvere». La speranza è che i congolesi ascoltino l’appello a «non cedere alla disperazione, al pessimismo, alla violenza e alla xenofobia, ma si uniscano dietro ai valori democratici e cristiani della giustizia e della verità». Due parole che, per ora, sembrano essere negate.