Congedanti al vertice Nato

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Poche volte l’agenda di un vertice Nato è stata così densa di decisioni importanti come in questa sessione di inizio aprile a Bucarest. Oltre ai 26 capi di Stato e di governo dei Paesi aderenti all’Alleanza, sono intervenuti i rappresentanti dei tre nuovi postulanti l’adesione, Albania, Croazia e ex Repubblica jugoslava di Macedonia, il presidente dell’Afghanistan Karzai, il segretario generale dell’Onu Ban Kimoon, esponenti dell’Unione europea e della Banca mondiale. E soprattutto era atteso il presidente russo Wladimir Putin, per partecipare ad un Consiglio Nato-Russia sulle comuni relazioni strategiche. Unanime è stato il consenso per avviare la procedura di accoglienza nell’Alleanza dei due Paesi balcanici, mentre è stata negata per ora l’adesione richiesta dalla Macedonia a causa del persistente veto da parte della Grecia sul nome di questo Paese (perché la Macedonia è una regione storica della Grecia). Assai più problematica si presentava invece l’analoga richiesta avanzata da Ucraina e Georgia, fortemente caldeggiata da Bush, ma tenuta sospesa e poi rinviata per l’opposizione dei Paesi europei, preoccupati di non irritare la Russia, mal disposta a vedere entrare nell’Alleanza atlantica addirittura alcune fra le repubbliche ex sovietiche. Forse, proprio quest’atteggiamento conciliante da parte degli europei ha stemperato l’irritazione di Putin riguardo ad un’altra controversia: quella relativa all’installazione dei radar antimissile in Polonia e nella Repubblica ceca. Certamente è stato questo confronto non facile con Putin il momento cruciale di queste giornate. L’arrivo a Bucarest del presidente russo è avvenuto infatti giusto mentre la Nato stilava un comunicato in cui si affermava diplomaticamente che Ucraina e Georgia sarebbero entrate prima o poi nell’Alleanza. Ma ciò sarebbe stato possibile soltanto nel nuovo clima di rispetto reciproco instaurato con la Russia, perché, affermerà Putin, nessuno degli attori globali di oggi (Europa, Stati Uniti e Russia) vuole ritornare al passato, e non sussistono più divergenze ideologiche. Tuttavia non si dovrà dimenticare il contributo della Russia a porre fine alla guerra fredda e pretendere che essa non si preoccupi più della propria sicurezza nazionale. Alla fine Putin ha voluto ringraziare i partner della Nato per i sei anni di lavoro comune, arrivando quasi a commuoversi mentre affermava di congedarsi come fosse al termine del servizio militare, contento di togliersi di dosso anche questo fardello, mentre lasciava a succedergli una persona preparata quale è Medvedev (il suo delfino). Si pensava che Putin si sarebbe riservato un atteggiamento più intransigente nel testa a testa con Bush durante l’incontro immediatamente successivo, a Soci. Ma così non è stato. Lì, sul Mar Nero, sono sì spariti per un attimo i sorrisi e si sono ribadite le divergenze, ma in un clima di reciproca franchezza. Entrambi i presidenti sono in scadenza e non si vogliono lasciare con un’impressione negativa di disistima. Putin riconosce dunque che da parte degli Stati Uniti si è capito il perché delle preoccupazioni russe, lasciando così aperta la porta per lavorare ancora, di qui in avanti, alla soluzione di questi problemi. La Russia potrà avere maggiori garanzie per convincersi che lo scudo spaziale fa parte di un sistema globale di difesa contro le minacce terroristiche e non contro di lei. Entrambi i presidenti, in conclusione, hanno ribadito il proprio impegno a lasciare in eredità ai loro successori un rapporto costruttivo.

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