Concetta, Tito e la Sla

Una famiglia, unita e impegnata nel sociale, affronta una malattia terribile e progressiva.

Solitudine e silenzio
«La solitudine è silenzio, e se sappiamo stare in silenzio a confronto con il nostro Io, la solitudine aumenta la sensibilità verso l’essenziale e ci aiuta a capire. […] Ci consente di sentire l’anima delle cose perché è nel silenzio che è data la possibilità di confrontarsi con il proprio vissuto, con il nostro “essere nella storia”, e avere così coscienza delle proprie responsabilità come persone. […] In silenzio, ascolto la mia coscienza, poiché “in un soffio di silenzio” (1 Re, 19,12) c’è anche Dio».

Così scrive Tito Rocci, malato di Sla (Sclerosi laterale amiotrofica). Scrive muovendo gli occhi, aiutato dal computer. La moglie, Concetta Ferrari, racconta la storia della famiglia: «Ci siamo sposati nel 1976. Sono arrivati 6 figli, il primo nato prematuro, poi 4 femmine e un maschio. In più, siccome la nostra casa di Roseto degli Abruzzi è grande, abbiamo accolto in affidamento anche due ragazzine, che abbiamo cresciuto insieme ai nostri figli. Una bella famiglia numerosa e molto attiva.

Tito, ingegnere, una vita dinamica di lavoro anche all’estero, come presidente regionale del Movimento politico per l’Unità, ha organizzato per molti anni le “scuole di partecipazione politica”. Io, insegnante di educazione fisica, ho partecipato all’avventura di Sportmeet, con varie iniziative sportive. Insieme con mio marito nella nostra parrocchia abbiamo portato avanti tante azioni sociali col Movimento Diocesano. Eravamo anche responsabili di un gruppo di coppie: per presentarci a loro preparati, non mancavamo mai la messa giornaliera e il rosario recitato insieme, noi due. Nel nostro territorio per molti anni abbiamo curato gli abbonamenti a Città Nuova e i libri del gruppo editoriale.

Insomma, una famiglia impegnata, con una casa sempre aperta a parenti, amici, sportivi, politici, bisognosi, gruppi della Parola di Vita del Movimento dei Focolari, che abbiamo conosciuto negli anni ’90. Poi improvvisamente, nell’estate del 2014… una nuova volontà di Dio. Tito, a 72 anni, ha cominciato a perdere l’uso delle braccia. Le cosiddette “fascicolazioni”, movimenti involontari dei muscoli, sono il primo avviso della malattia. Presto ha dovuto smettere di guidare e di usare il computer».

Il pianto
«“Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati” (Mt 5, 4). […] Ripercorro spesso il cammino della Via Crucis e il dolore di Gesù che si fa domanda e chiede anche lui “perché”, ma si apre alla volontà di Dio. Dio sa cosa farsene del pianto legato alla nostra sofferenza. È un doloroso rumore che alimenta il cuore della Terra e mette in moto la nostra “umanità”, la nostra prossimità. […] È così che, nella malattia, se non ci si abbandona al lamento, si avverte la concreta presenza di Dio, il necessario rapporto dell’essere umano con Lui, la sua consolazione misericordiosa che ci fa arrivare attraverso l’amore di chi ci sta a fianco».

Riprende Concetta: «La malattia ha creato un po’ di panico in famiglia. Tito è stato bravissimo, come se non fosse lui in prima persona a viverla. Per tranquillizzare i figli, abbiamo fatto un viaggio a Ischia. Guidavo io, l’ho portato, lui le braccia non le muoveva però abbiamo anche ballato, ho bei ricordi di quel momento. Poi però questa malattia ti toglie tutto, non si ferma mai. È dura ripensarci, sono stati momenti difficili, ma insieme siamo una grande squadra. Tito ha cominciato a perdere l’uso delle gambe, le trascinava, perdeva l’equilibrio, cadeva, allora io chiamavo i generi, che abitano vicino. Fino all’ultimo ha resistito, non voleva la carrozzina, poi si è convinto, non è facile accettare di essere aiutato in tutto».

La vita: un’opera d’arte
«Definire cos’è la vita è un argomento complesso e tuttora irrisolto, inserito com’è in un dibattito infinito tra scienziati e filosofi. Proviamo a prenderla semplicemente come un dono d’amore, come d’altronde è, che ci è stato fatto e a cui però, per gratitudine, dobbiamo dare valore e senso. […] Che cos’è allora la vita? Tra me e me ripeto sempre che è la recita di una grande Opera, di cui ognuno è autore e attore principale. “Qualcuno” ci ha messo a disposizione il teatro, ma non ci ha dato il copione. Eh sì! Quel copione lo dobbiamo scrivere noi, ogni giorno, ogni giorno in modo nuovo e in piena libertà di scelta».

Continua Concetta: «Nel giugno 2018 Tito ha cominciato a sentirsi soffocare di notte. Per aiutare la sua respirazione difficoltosa avevamo comprato una macchina portatile, che muove i muscoli e il diaframma, ma non era più sufficiente. Lui però non voleva fare la tracheotomia, cioè l’inserimento in gola di una cannula per respirare, perché sapeva che sarebbe stato un punto di non ritorno, impegnativo per lui, ma anche per tutti noi. Ha dovuto fare un difficile percorso personale per convincersi. In quei giorni erano qui con noi Rosalba, un’amica medico, e don Pietro, il nostro parroco: insieme con un tecnico abbiamo fatto una riunione decisiva. Non potevamo lasciare che se ne andasse così, per non disturbare la famiglia. È stato un momento duro, ma alla fine Tito ha accettato.

Abbiamo fatto la tracheotomia al reparto di pneumologia a Teramo, quindi adesso porta una cannula in gola. In più, ha la Peg, che è una via per dargli da mangiare direttamente in pancia. Preparo io il cibo frullato, inventando cibi e soluzioni non contemplate in nessun libro.
Trovare l’equilibrio non è semplice, ci vuole tanto tempo e… qualche miracolo. Siamo pieni di macchine in casa: una per respirare, una di riserva, una per la tosse, poi l’aspiratore col sondino, insomma… è come una camera di ospedale. Ma non è triste, è allegra.

La nostra è ancora una casa di feste. Il malato, infatti, deve avere fiducia nella famiglia, sentirla vicino, altrimenti si sente perso, non si muove, ha paura di restare solo. Invece anche da un letto queste persone possono dare tanto: Tito, per esempio, gioca a scacchi, lui al computer e mio nipote col mouse. Riceve persone, gestisce la sua malattia, ci fa capire ciò di cui ha bisogno, col computer. Scrive con gli occhi, con un “puntatore oculare” che gli permette anche di sentire la musica e navigare sul pc. Gli incontri della Parola di vita, che abbiamo sempre continuato a fare a casa nostra con don Pietro e tanta gente, ora con la pandemia li facciamo via zoom. Tito sente la messa in tv e scrive, scrive tanto. Scrive cose bellissime. Normalmente sta a letto, ma ogni tanto lo portiamo in sala, perché abitiamo sul mare».

Il limite
«Santo Padre carissimo e misericordioso, sono un comune mortale che, con l’avanzare dell’età (78 anni), ha iniziato a scrivere qualche riflessione d’anima e a condividerla con amici. Da qualche tempo, irrompe spesso mia moglie ed esclama: “Perché non scrivi al Papa!”; poi sorridendo aggiunge: “Così se telefona, rispondo io”. E sì! Non ho più la voce. Attualmente sto combattendo con la Sla scoperta a settembre del 2014. Da giugno del 2018 vivo completamente immobile, collegato a macchine di ventilazione e alimentazione, ma sostenuto con grande amore da tutta la famiglia e tanti amici. Scrivo grazie a un puntatore oculare. Alla domanda di mia moglie, tra me e me, rispondo: “Hai detto niente!!! Cosa potrò mai mettere in comune con un uomo così profondo e vicino a Dio?”. Poi, qualche giorno fa, una scena bellissima: San Pietro con i suoi portici deserti che spalanca le braccia ad un uomo vestito di bianco in cammino verso la Meta, solo, sotto la pioggia, in un silenzio pieno di rumorosità umana nascosta. Cosa di umano poteva unirmi a lui? Il senso del limite. […] La “scelta” sull’accettazione o rifiuto del limite è stata sempre un argomento presente nei miei momenti difficili di vita. […] Conservo nel mio cuore un passo di un Suo messaggio (Angelus, 21 agosto 2016,): “La porta della misericordia di Dio è stretta ma sempre spalancata, spalancata per tutti! Egli aspetta ciascuno di noi, qualunque peccato abbiamo commesso, qualunque, per abbracciarci, per offrirci il suo perdono”. […] Ma che bella l’immagine della porta come limite; basta aprirla e il limite non esiste più. Si apre e si scopre la Via. Ed io ringrazio Dio perché ancora oggi sono Libero di Aprire quella porta, nonostante tutto».

Alla lettera di Tito del 24 maggio 2020, papa Francesco risponde: «Sono rimasto edificato dalla sua lettera, dalla sua testimonianza cristiana. Grazie. Prometto di pregare per lei, per favore continui a farlo per me. Tanti saluti a sua moglie. Che il Signore la benedica e la Madonna la custodisca. Fraternamente Francesco».

Conclude Concetta: «Tito è più grande di me come età, più razionale, mentre io sono più sensibile, per cui spesso mi appoggiavo a lui. Adesso invece in alcuni momenti devo diventare la mamma di Tito. Nei momenti di tristezza ho delle amiche che mi sono vicine e poi i ragazzi, affettuosi, che mi capiscono dallo sguardo. Come salute non sto benissimo, devo fare controlli periodici, ma quando sono fuori casa i ragazzi mi sostituiscono. Sono orgogliosa della mia famiglia. Con Tito a volte litighiamo pure, lui ingegnere pignolo, io frettolosa ed estemporanea. Mi avevano detto che sarebbe diventato nervoso dopo la tracheotomia, invece lui ha trovato un suo bell’equilibrio di vita, col cuore e la mente.

Stiamo bene insieme, anche se mi mancano i suoi abbracci, la sua mano rassicurante. A volte mi fa l’occhietto, quando magari dico qualcosa di sbagliato in presenza delle persone che vengono per aiutarmi. Con queste persone lui è bravissimo, è più buono di me. Dio ci ama immensamente, ogni giorno dico sempre “grazie Signore”. E la mattina quando mi alzo vedo il mare».

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons