Concertone in agrodolce

Il classico appuntamento col concerto dei sindacati s'è consumato in un'atmosfera dimessa, dove le speranze sembravano fare a botte con la rabbia e l'inquietudine. Ovvio, dati i tempi: così cupi da trasformare anche la più amata fra le feste dei lavoratori nella colonna sonora di una  crescente disillusione
Giovanni Sollima e 100 Violoncelli al Concerto del 1° maggio a Roma

L'han detto in tanti: quest'anno c'era ben poco da festeggiare, poiché questa è diventata soprattutto la festa “del lavoro che non c'è”. Una mia amica giornalista, la vigilia, scriveva su Facebook: “Quest'anno il Concerto potrebbe registrare un vuoto di presenze: sono rimasti così pochi i lavoratori, e chi può, domani lavora”.

Ebbene il vuoto non c'è stato – nonostante la pioggia, almeno 700 mila persone secondo gli organizzatori –, così come non sono mancati gli slogan populisti, le belle canzoni, le performance pittoresche. Solo tutto un po' sottotono, o meglio, come pressato da una cappa di mestizia che neanche l'allegria tipica dei concerti è riuscita a diluire del tutto.

Dalle 15 fino a mezzanotte la povera Geppi Cucciari ce l'ha messa tutta per tenere in piedi la baracca e dar sostegno al cast di quest'anno. Un buon cast tutto sommato, stilisticamente trasversale e italianissimo, come accade da qualche anno: con la classe fuori-norma di Vinicio Capossela, gli sberleffi di Elio e le Storie Tese (a proposito: chi si fosse perso la maratona vada a risentirsi su YouTube la loro irresistibile Complesso del Primo Maggio), il fresco pop-rock d'autore della triade romana Silvestri, Fabi e Gazzè, l'esuberante folk dei Bottari, il rock modernista di Marta Sui Tubi, l'eleganza colta del maestro Piovani, e molti, moltissimi altri (compresa una band di provocatori che non ha trovato di meglio che esibirsi nell'ostensione di un preservativo). C'era anche una vera e propria super-orchestra rock diretta da Vittorio Cosma e composta da una ventina tra i migliori musicisti italiani, da Avitabile al sax a Boosta dei Subsonica alle tastiere, da Elio Rivagli alla batteria a Fabrizio Bosso alla tromba: tutti insieme appassionatamente a rispolverare una manciata di classici. Immancabile anche l'Inno di Mameli, questa volta affidato agli archi – ben 100 violoncelli! – guidati da Giovanni Sollima.

A far da file rouge sotterraneo, un tema apprezzabile, condivisibile, perfino beneaugurante: Musica per il nuovo mondo: Spazi, radici e frontiere. Ma la formula è apparsa un po' datata (perfino alla Camusso), tant'è che la vera novità dell'anno era di natura tecnologica: un'applicazione per smartphones che ha dato la possibilità al pubblico di riprendere le proprie performance preferite: i filmati migliori comporranno un vero e proprio film, One million eyes, baby che proverà a raccontare da una prospettiva diversa – ma guidata dallo stesso regista “ufficiale” Stefano Vicario – quello che resta comunque uno degli eventi musicali più importanti dell'anno. Un concerto-evento mai come in questa edizione presidiato dalle forze dell'ordine e molto “political-oriented”, in un'alternanza insieme tenera e rabbiosa di slanci appassionati, buoni propositi più o meno retorici, e dolentissime prese d'atto. Riflessioni e temi a tratti non troppo lontani da quelli suscitati poche ore prima da papa Francesco sul sagrato di San Pietro.

Da segnalare che al concertone romano han risposto, in simultanea, molti altri concerti  dedicati alle problematiche del lavoro, come quello di Taranto (con la Mannoia a dar lustro a un cast di rilievo e dedica alle vittime e ai lavoratori dell'Ilva), o quello travagliatissimo e poi tristemente sospeso alla “Città della Scienza” di Napoli, o ancora, il gran finale del Torino Jazz Festival, con chiusura affidata a Simone Cristicchi. Poi, lì come ovunque, tutti a casa: in attesa, come si suol dire, di tempi migliori.

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