I concerti a Santa Cecilia
Fa bene poter assistere, o meglio fare esperienza, con due diversi direttori, come Antonio Pappano e Juraj Valcuha, entrambi sul podio dell’ Accademia romana di Santa Cecilia. Personalità eccellenti, gesto chiaro, più fluttuante Pappano , più “toscaniniano”, Valcuha. Pappano esegue la Nona Sinfonia di Mahler. C’è un senso di ineluttabilità, di ansia e di tempesta in questa musica. Insieme, un forte anelito alla pace. Ed anche alla gioia, come si sente nel secondo tempo, più giocoso. Fino a chiudersi in quella apertura verso una possibile trascendenza, tra melodia e glacialità che fanno di quest’opera, eseguita nel 1912, un bivio tra passato e futuro poco radioso. Pappano insiste nel dar forme proprie ad ogni sezione dell’orchestra, ne esalta le voci, trascina la massa degli archi fino allo stordimento sonoro (per noi) e poi si lancia in abbandoni. Maestà e canto, tristezza e voglia di serenità.
Valcuha ha in programma Beethoven, quello della Prima Sinfonia e del Triplo Concerto per violino, violoncello e pianoforte. Opere di un autore sui trent’anni, vigoroso, musicalissimo, fantasioso. Basta vedere come dà il suo saluto al Settecento di Haydn e Mozart nella Prima Sinfonia, dove il Minuetto è un Allegro burbero e scoppiettante, altro che galanterie, e Valcuha, dal gesto molto bello, estrae il canto degli strumenti, con opportuni rallentando e finali incisivi. Quando poi è la volta del virtuosistico Concerto, dove brillano le prime parti ceciliane – Carlo Maria Parazzoli violino, Gabriele Geminiani violoncello ed Enrico Pace piano – la giostra dei motivi parte ed è una gioia lasciarsi portare da un ritmo così fresco, pieno di ottimismo. Non è ancora il Beethoven tragico, è quello virile e originale, che rompe col passato e si afferma come il nuovo, la novità.
Come risulta alla fine essere la frizzante Prima Sinfonia di Sostakovic.