Conan il barbaro
Torna sullo schermo l'eroe dei fumetti, questa volta il 3D. Un film che mescola mitologia, horror e fantasy, condito da effetti speciali a piene mani
Nell’era del 3D non poteva mancare il remake del celebre eroe fumettistico, cui aveva dato corpo – soprattutto – nel 1983 Arnold Schwarzenegger. Stavolta il corpo è quello palestrato di Jason Momoa, che parla poco – “vivere, amare, uccidere” è il suo motto – e ammazza volentieri tutti, già da ragazzo.
Di sangue ne scorre parecchio nelle due ore del filmone, anzi troppo e troppo volentieri. Già, siamo in una società barbarica, dove la violenza è la normalità, ed in un’era imprecisata. Il film mescola infatti con disinvoltura gli eroi del peplum – Maciste e amici –, la mitologia (i Cimmeri, di ascendenza omerica), le cavalcate western, gli assalti pirateschi, i monasteri pseudo buddisti, con un pizzico di horror e di fantasy che non guasta mai. Lo spettacolo è quindi assicurato, complici scenografie fantastiche, effetti speciali a piene mani. Lui, Conan, ammazza, si vendica del cattivo che gli ha ucciso il padre e ama la bella guerriera. Che da “monaco” diventa combattente per amore. Una storia vista e rivista, ovviamente, con una sceneggiatura così zoppicante che il film sembra più volte sul punto di finire…e non finisce mai. Meglio, si chiude con l’esaltazione dell’eroe che lancia la sua spada verso il cielo.
Spettacolo graditissimo ai fan del 3D, naturalmente, che si vedono triplicate le mostruosità, i muscoli, le zuffe, eccetera (attenzione, perché il 3D fa male ai bambini, dice un apposito cartello in biglietteria, col timbro del ministero della Salute…). Ma non gli farà ancor più male assistere a due ore di massacri condite con rare frasi lapidarie, scontate al punto da far sorridere? Invece, in sala qualche brava mamma porta la bambina a vedere l’eroe del passato-.presente-futuro che appunto vive, ama, uccide.
E la critica? Divisa, al solito. Ad alcuni piace il forzuto ricreato dal regista Marcus Niespel, abile riciclatore di antiche saghe, e la commistione di generi in una specie di gigantesca torta filmica. Altri dicono che il non-pensiero, oggi di moda, ha prodotto un suo tipico esemplare, cioè una storia che di nuovo non ha nulla, se non un assemblaggio di “trucchi” perfetti che purtroppo ostacolano quello che dovrebbe essere il suo punto forza, cioè il gusto per il racconto avventuroso.