Cona, la lunga marcia dei migranti
Tra fine 2016 e inizio 2017 il centro di accoglienza per richiedenti asilo di Cona era tristemente salito agli onori delle cronache nazionali per la morte di Sandrine Bakayoko e le rivolte degli ospiti che ne erano seguite. In questi giorni ha invece fatto parlare di sé per la marcia dei 241 migranti che la settimana scorsa avevano lasciato la base in direzione di Venezia (distante una sessantina di km) con l’obiettivo di arrivare sino in prefettura, per protestare contro l’inadeguatezza delle condizioni del centro e chiedere una sistemazione diversa.
La cosa aveva fatto inizialmente temere esiti, se non tragici – del resto uno di loro, che aveva tentato di raggiungere il gruppo in bicicletta, era morto investito da un’auto –, quantomeno assai critici, quando giovedì scorso i richiedenti asilo avevano trovato sul loro percorso la polizia in assetto antisommossa. Ne erano seguite febbrili trattative tra le forze dell’ordine e i leader della protesta, finché al calar del buio – quando ormai la situazione stava diventando insostenibile a causa del freddo – la situazione si è sbloccata con l’intervento della diocesi: il patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, in accordo con la Caritas e con i sacerdoti ha aperto all’accoglienza per la notte la parrocchie della provincia, in attesa che si potesse aprire un canale di comunicazione con il prefetto.
Ne è seguita, a quel che sono le testimonianze, una sorta di gara di solidarietà da entrambe le parti: i parrocchiani si sono mobilitati, tra venerdì e sabato, per portare coperte e cibo caldo; i migranti, dal canto loro, non solo avrebbero sempre lasciato tutto perfettamente pulito dopo la loro permanenza, ma in alcune parrocchie – secondo quanto riferiscono ai media i sacerdoti – hanno anche dato una mano a ripulire l’oratorio, il sagrato, ed altri lavori analoghi per ricambiare l’ospitalità. Nel corso del fine settimana poi, con l’intervento congiunto della prefettura e della diocesi, è stato trovato per loro un alloggio in piccoli gruppi, sparsi in diverse zone del Veneto, appoggiandosi a parrocchie, associazioni ed altre realtà.
Non è insomma caduto del tutto nel vuoto l’appello del patriarca affinché anche le istituzioni si attivassero, dopo la prima risposta delle parrocchie; che, ha osservato il vicario episcopale don Dino Pistolato in un’intervista al Gazzettino, «ancora una volta hanno dimostrato che con la loro presenza capillare sono in grado di dare risposte immediate all’emergenza per un motivo molto semplice: sanno attivarsi velocemente e non patiscono le lentezze della burocrazia». Naturalmente non sono mancate le reazioni sul fronte politico: se la condanna degli attuali metodi di gestione dell’accoglienza è unanime, c’è stato anche chi – perlopiù rappresentanti della Lega, dal vicepresidente regionale Gianluca Forcolin all’ex sindaco di Padova, Massimo Bitonci – non ha approvato la scelta di Moraglia di aprire le porte delle parrocchie, mettendo in discussione il fatto che il concetto di “carità cristiana” si concretizzi in una risposta che può essere solo temporanea e non risolutiva del problema. Sia come sia, non c’è dubbio che si sia quantomeno evitato il degenerare della protesta.
Tutto bene quel che finisce bene dunque? Non del tutto, perché anche le strade dell’accoglienza diffusa non sono così semplici né per chi accoglie, né per chi è accolto. Già oggi, lunedì 20 novembre, 24 richiedenti asilo hanno chiesto di fare ritorno a Cona (ci sarebbero però già una cinquantina di domande). Non ci sono dichiarazioni ufficiali sulle ragioni che li hanno spinti a fare marcia indietro; ma secondo quanto lasciano intuire le dichiarazioni del prefetto non è stato di fatto possibile trovare per tutti una sistemazione migliore di quella di Cona. Del resto, quando la cooperativa Edeco (definita “il magnate dell’accoglienza” in Veneto dato che gestisce i due hub più grandi, Cona e Bagnoli) lamenta di non poter fare di meglio con le risorse a disposizione, è difficile non crederle del tutto: chi scrive ha visitato il campo (vedi Città Nuova di marzo 2017), e c’è da dire che, per quanto in molti lamentino zone d’ombra sull’operato di Edeco, garantire cibo, servizi igienici e sanitari e riscaldamento a 1.200 persone alloggiate in tende è impresa improba per chiunque. Intanto c’è chi teme che, nonostante il ritorno a Cona di parte dei migranti, altri intendano avviarsi in una marcia analoga: sicuramente la situazione non potrà dirsi risolta finché così tante persone saranno concentrate in un unico luogo e in strutture non adeguate ad una permanenza di lungo periodo – come di fatto finisce per essere quella di molti migranti, date le tempistiche del vaglio delle richieste di asilo.