Con Paolo in Turchia e in Grecia
Siamo in 45 persone e formiamo un gruppo eterogeneo dalle provenienze geografiche le più diverse: Portogallo, Spagna, Lituania, Messico, Argentina, Colombia, Brasile, Giappone, Viet Nam, Corea, India, Indonesia…
Antiochia, dove i discepoli furono chiamati cristiani
Il viaggio inizia da Antiochia di Siria, la base di ogni spedizione apostolica di Paolo. Antiochia “di Siria” non è più in Siria dal 1924, anno in cui la Francia cedette la città e il suo territorio alla Turchia, nella speranza che questa non entrasse nel conflitto… Allora (soltanto allora?) la geopolitica del Medioriente era fortemente condizionata dalle potenze occidentali che dividevano terre e popoli in base ai propri interessi.
Oggi Antiochia si chiama Antakya. È attraversata dall’Oronte (la città era detta anche Antiochia sull’Oronte), fiume un tempo navigabile, attualmente più simile ad una grande fogna a cielo aperto. Nell’antichità gran parte del commercio transitava attraverso questa via fluviale. Quando Paolo partiva per i suoi viaggi, saliva su una piccola barca e raggiungeva il porto di Seleucia Pieria da dove prendeva la nave.
Cerco invano le vestigia della terza città dell’impero romano, la più romana di tutte le città dell’Oriente. Al tempo di Paolo contava mezzo milione di abitanti: trecentomila cittadini e duecentomila schiavi. Qui per la prima volta i discepoli furono chiamati “cristiani”, qui l’apertura ai pagani, da qui l’espansione missionaria! Qui la presenza di Barnaba, Paolo, Pietro, qui è nato Luca, Giovanni Crisostomo, qui la sede episcopale di Ignazio “di Antiochia”…
Il museo archeologico, ricco di mosaici, dà una pallida idea di cosa doveva essere una volta questa città. Ci avventuriamo per le stradine dell’antico quartiere che sorge attorno al decumano della città romana, rimasta a otto nove metri sotto l’attuale strato urbano. Case piccole, in pietra, con le viti che si arrampicano sui tetti, botteghe di artigiani, ragazzini che giocano e si rincorrono.
Se scarsi sono i resti romani, inesistenti quelli di Paolo e della prima Chiesa, se si fa eccezione per la cosiddetta “grotta di Pietro”, sulle pendici del monte Silpio. Quanto resta di una chiesa dei Crociati – ma siamo mille anni più tardi – è trasformato in museo. Le moschee dominano il profilo di questa, come di tutte le città della Turchia.
I Cappuccini italiani hanno comprato una casa e in una stanza vi hanno costruito una bella cappella. D. Bertogli, rettore della chiesa, ci incanta parlandoci della presenza della comunità cristiana (70 cattolici e 1000 ortodossi), immersa nel mondo musulmano, e del ricco e fecondo lavoro ecumenico e interreligioso.
Un giudeo di Tarso di Cilicia
“Io sono un Giudeo di Tarso di Cilicia, cittadino di una città non certo senza importanza”, proclamò Paolo davanti al tribuno romano in Gerusalemme (At 21, 39). Ma com’era questa importante città universitaria al tempo di Paolo? Saliamo nuovamente le montagne che dividono la Siria dalla Grecia e ci dirigiamo verso Tarso per conoscere il luogo natale dell’Apostolo.
Attraversiamo i Monti Tauri, con vette fino al 3.500 metri. La catena divide il mare dall’altipiano anatolico. Gli Ittiti, che hanno sempre sognato di arrivare al mare, immaginavano che il toro, con le sue possenti corna, aprisse loro il passaggio. In effetti, col tempo, si aprirono vari varchi: le porte cilicie, attraverso le quali penetrò Alessandro, provenendo dalla Cappadocia; la porta armena, attraverso la quale passò il re Dario; la porta siriana, dalla quale Alessandro, dopo la vittoria di Isso, penetrò in Siria, accedendo al corso inferiore dell’Oronte e alle pianure che circondano Aleppo.
Immagino Paolo su queste montagne, lungo queste gole, dove i banditi erano in agguato, nonostante i pattugliamenti dei soldati romani. Mettersi in strada, specie nella stagione cattiva, era un problema. Si consultavano gli aruspici. C’erano sorprese e pericoli di ogni genere: difficoltà della strada, lunghezza dell’itinerario, incontri poco piacevoli.
“Viaggi innumerevoli – scriverà Paolo stesso –, pericoli di fiumi, pericoli di briganti…, pericoli nelle città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare… fatica e travaglio, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità” (2 Cor 11, 26). Come mi appare realista questo racconto di Paolo. Si può così capire perché Giovanni Marco lo abbia abbandonato nel momento in cui stavano per attraversare la catena del Tauro (At 13, 12).
Giungiamo così in Cilicia, dove, come per incanto, riprendono a materializzarsi gli antichi nomi biblici. Passiamo per Mopsuestia (e subito il pensiero va a Teodoro di Mopsuestia e alla scuola antiochena), la valle di Isso, dove Alessandro Magno sconfisse Dario III e si aprì la via all’Oriente, Alessandretta (Iskenderum), sede della diocesi latina dell’Anatolia. Non mi perdo un angolo di panorama, dalle pianure fertili alle colline, alle rocce sormontate dai castelli del Regno Armeno di Cilicia…
A Tarso, visita alla strada romana, tornata alla luce una decina di anni fa. È a parecchi metri sotto il livello della città attuale. Su questa strada sono passati Cicerone, Giulio Cesare, Cleopatra, Marco Antonio, Augusto, Adriano… e Paolo, naturalmente. Ma dove ritrovare Paolo? Hanno dichiarato “pozzo di Paolo” un antico pozzo romano e hanno indicato una delle case dell’antico quartiere ebraico – appena restaurato – come “casa di Paolo”.
Quindi alla Chiesa di san Paolo, forse del 1200, recentemente dichiarata museo. Accanto abitano tre religiose Figlie della Chiesa, le uniche cristiane di Tarso. Per andare a messa devono percorrere 55 km. Il cristianesimo, in quanto religione, è completamente sparito. In compenso, l’Islam è onnipresente: ogni area di servizio, lungo l’autostrada, ogni parcheggio, ha la sua piccola moschea, così come in ogni albergo c’è la sala per la preghiera musulmana…
In viaggio passiamo davanti alla fabbrica della Mercedes; all’interno si vede la moschea! Chissà se in Germania all’interno delle sue fabbriche la Mercedes ha costruito una chiesa… Alcuni cristiani sono presenti qua e là, nascostamente, o almeno ricordano che la loro famiglia in passato era cristiana. La Turchia è uno stato laico, ma i cristiani continuano a sentirsi fortemente penalizzati. Le religiose non possono neppure dare il libro del Vangelo a chi glielo chiede: sarebbe un atto di proselitismo.
In Cappadocia e Licaonia
Riprendiamo l’attraversamento della catena montuosa, fino al passo, 1600 metri, da dove si scende verso la Cappadocia, che si distende, infinita, su un altopiano a 1200 metri. Campi fertili, colline brulle… Qui il cristianesimo si diffuse molto presto, forse ad opera proprio di Paolo, durante il suo primo viaggio verso la Galazia. Nel III secolo, la capitale Cesarea divenne un centro di formazione teologica. Il Vescovo di Cesarea, Firmiliano, vi fece venire persino il grande teologo greco Origene, che fu maestro di Gregorio di Taumaturgo, venerato dai Padri cappadoci come il fondatore della Chiesa di Cappadocia.
Qui Basilio, Vescovo di Cesarea e suo fratello Gregorio di Nissa, con Gregorio di Nazianzo, gettarono insieme le basi del monachesimo greco ortodosso, con la loro azione pastorale diedero un fortissimo impulso alla diffusione del cristianesimo nella regione e, grazie alla loro riflessione teologica, apportarono un contributo determinante nell’affermarsi dell’ortodossia.
Nella valle del Göreme quell’antico monachesimo ci offre il meglio delle sue creazioni architettoniche e artistiche: chiese, monasteri e villaggi rupestri interamente scavati nel tufo. Un mondo incredibile, nel quale la natura e l’uomo si sono sbizzarriti. Le chiese sono interamente decorate. Le bizzarre architetture naturali, plasmate lungo i millenni dai venti e dalle erosioni, avranno impressionato Paolo, come impressionano i viaggiatori di oggi.
Lasciata la Cappadocia continuiamo sull’altopiano anatolico inoltrandoci nella Licaonia, la “terra dei lupi”: un altro “pericolo” nel tempo in cui Paolo attraversava queste terre. Percorriamo la strada romana che attraversava l’Anatolia. Partiva da Efeso: collegava Magnesia, Tralli, Laodicea, Apamea, Antiochia di Pisidia, Iconio e di là scendeva per la Licaonia e le Porte della Cilicia a Tarso e ad Antiochia di Siria. Alla distanza di ogni giornata di viaggio, 25 km circa, c’era un posto di sosta, un caravan serraglio per il pernottamento delle carovane. Ne visitiamo uno, costruito dal sultano nel 1100 o 1200: un grande castello turrito, con all’interno edifici, portici e una costruzione che ha l’architettura di una grande cattedrale a cinque navate.
Paolo doveva contentarsi di molto meno. Con i pullman veloci oggi i chilometri si mangiano a centinaia in poco tempo. Ma rivedo l’Apostolo che per giorni e mesi cammina sotto il sole, l’acqua, con il vento che gli soffia contrario… Nel suo secondo viaggio apostolico, assieme a Barnaba, percorse 824 chilometri per arrivare ad Antiochia di Pisidia. La media doveva essere di 32 chilometri al giorno per un cammino di 26 giorni complessivi.
Seguendo il cammino di Paolo, eccoci a Konya (così si chiama oggi Iconio), conosciuta come il granaio della Turchia. La città si trova a 1016 metri sul livello del mare; 700.000 gli abitanti. È una delle più antiche città della Turchia, risalente a sei, settemila anni a.C. Nel 47-50 Paolo vi arrivò da Antiochia di Pisidia, per poi proseguire per Lystra (Hatunsaray) e per Derbe (Kertihöyük).
Oggi Iconio è una città fortemente islamizzata: il partito di destra, i Lupi grigi, raccoglie il 73% dei consensi. Gli Stati arabi vi finanziano scuole, moschee… Anche qui nessuna traccia non soltanto di Paolo, ma nemmeno del periodo romano, nemmeno della comunità cristiana. Soltanto una chiesa dedicata a san Paolo, eretta all’inizio del 1900 per i francesi che costruivano la ferrovia.
Anche qui due religiose, sempre di Trento, quale segno della gratitudine della diocesi, evangelizzata da cristiani provenienti da questa regione, i martiri Martirio, Sisinio e Alessandro che il Vescovo di Milano, Ambrogio, aveva mandato al Vescovo di Trento, Vigilio, che a sua volta li aveva inviati in Val di Non.
Sono due religiose della Fraternità di Gesù Risorto, nata sulle parole del Vangelo: “Dove due o più…” (cf. Mt 18, 20), che vivono qui solo per assicurare questa presenza di Gesù in terra turca: le uniche cristiane di questa grande città industriale, le uniche di tutta la regione. Due pomeriggi la settimana accolgono i visitatori turchi, specialmente gli studenti dell’università della città in visita culturale.
Nella provincia di “Asia”
Il viaggio riprende verso la Frigia: paesaggio monotono, senza alberi, colline aride, grandi distese coltivata a frumento… A sud, la catena che divide la Licaonia dalla Pisidia, montagne dolci, ma rigorosamente senza vegetazione. Nella Frigia, altre pianure che si perdono a distesa. Poi monti e colline verdi. Ed ecco l’emozione, la prima, almeno per me, di questo viaggio: Colossi!
Per loro Paolo compose il mirabile inno cristologico: “Egli è immagine del Dio invisibile / generato prima di ogni creatura…” (Col 1, 15ss); per loro, come per quelli di Laodicea, sostenne una “dura lotta” perché giungessero alla piena conoscenza di Cristo “nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza” (Col 2, 1-3). Della città si intravede appena il luogo antico, ai piedi delle montagne, un piccolo villaggio e niente più, ma quanto basta per far partire il cuore.
Poi Laodicea, anche questa appena rivelata dai recenti scavi. In questa serata quieta, abbraccio con lo sguardo il paesaggio ondulato, nel quale finalmente posso collocare tanta della storia che ci è cara, e che guardo con lo stesso guardo d’amore di Paolo.
Nelle vicinanze, Pamukkale, l’antica Hierapolis, Gerapoli, famosa per le cascate calcaree, pietrificate in un bianchissimo travertino. Doveva essere davvero una grande bella città. Innanzitutto per la sua posizione geografica, spalleggiata da monti coperti di pini, con davanti la grande pianura. L’area archeologica è vastissima, in stato di abbandono. Intatto il teatro, che mostra ancora l’antico splendore. Più in alto i resti di una grande chiesa, sorta sul luogo del martirio di Filippo. Qui aveva sede la comunità cristiana fondata da Epafra e destinataria delle lettere circolari di Paolo.
Dalla Frigia all’Ionia, la zona di cultura greca, che ha dato i natali a Saffo, Anacreonte, Pitagora, Anassagora…, che ha visto nascere l’alfabeto greco, lo stile architettonico ionico… E finalmente Efeso, capitale della romana Provincia d’Asia. Vi arriviamo a fine mattinata, dopo essere passati per Tralle, a cui di Ignazio di Antiochia, in viaggio per Roma, aveva indirizzato una delle sue lettere.
Visitiamo subito la basilica e la tomba di san Giovanni, rinvenute nel secolo scorso, maestose per la monumentalità e soprattutto per il loro significato. Entriamo poi nella Efeso antica, riscoperta dagli scavi del secolo scorso. La posizione, tra le montagne e con il mare davanti, è incantevole. Le agorà, la strada principale, il teatro, la biblioteca di Celso, i templi, tutto dice lo splendore di questa grande città. Si capisce come Paolo vi si sia fermato per tre anni così che “la parola del Signore cresceva e si rafforzava” (At 19, 20).
Nella lettera indirizzata a questa Chiesa, Paolo traccia la fisionomia della Chiesa “corpo” e “sposa” di Cristo, comunità nuova di redenti, di figli di Dio, uniti in un solo corpo. Ma quale grande monito verrà in seguito per Efeso, come per noi, da parte di Giovanni: “hai abbandonato il tuo amore di prima!” (Ap 2, 2).
Infine, i pochi ruderi della chiesa del Concilio di Efeso, dove leggiamo il decreto conciliare concernente la divinità di Cristo e la proclamazione di Maria Madre di Dio per terminare con la professione del Credo.
“Passa in Macedonia”
Lasciamo Efeso, con il sorgere del sole, tra un mare di piccole nubi, distribuite uniformemente nel cielo che si indora. Tre ore di viaggio verso Pergamo, attraverso le regioni Ionia, Eolia, Misia. Attraversiamo Smirne, città immensa, con i suoi sette milioni di abitanti. Si distende attorno al porto, riempie tutta la vallata e sale sulle colline che la circondano. Chissà com’era al tempo di san Policarpo.
Dello stadio nel quale fu arso non rimane che un piccolo avvallamento. A questa comunità l’Apocalisse indirizza una delle sue sette lettere, con un elogio incondizionato. Anche Ignazio di Antiochia, accolto qui da Policarpo nel suo viaggio verso Roma, ha scritto una lettera alla comunità e una al suo pastore.
Il viaggio continua tra colline, olivi, costeggiando un mare leggermente mosso, d’un intenso colore cobalto, le coste desertiche e verdissime, toccando Pergamo, capolavoro della civiltà ellenistica e romana, la cui comunità cristiana rimase saldamente attaccata al nome di Cristo, il Kyrios (Signore), senza riconoscere questo titolo all’imperatore, portandola presto all’esperienza del martirio: Antipa fu il primo martire d’Asia da noi conosciuto.
Poi Asso e Troade, da cui Paolo passò almeno tre volte nel suo andare tra Asia ed Europa, fino allo stretto dei Dardanelli (l’antico Ellesponto) che dal mar Egeo porta al mar di Marmora. Dall’altra parte l’Europa! Paolo vi giunse “dirottato” dal macedone apparsogli in sogno che lo invitava in questa regione.
Ed eccoci a Neapolis in Macedonia, dove Paolo sbarcò in Europa. Continuiamo per Filippi, prima tappa di Paolo. Le rovine della città si distendono nella pianura ai piedi di monti sassosi e aridi che hanno un loro fascino. Su di essi si inerpica il teatro. In basso, poco lontano, il carcere – o almeno supposto tale – dove furono rinchiusi Paolo e Sila e da dove furono liberato dal terremoto: luogo di battesimo del carceriere.
Tra il teatro e l’agorà corre la via Egnazia che congiungeva Apollonia e Durazzo a Tessalonica, passando tra l’Illirico e la Macedonia, toccava Heraclea, Edessa e Pella, fino al Bosforo: tra Occidente e Oriente, è stata la via percorsa più volte da Paolo nei suoi viaggi.
Poco più avanti il torrente d’acqua fresca e limpida dove Paolo incontrò le donne giudee e conquistò alla fede Lidia. È qui che celebriamo la messa, tra lo stormire degli alberi e il canto dell’acqua.
Scendiamo di nuovo sul mare, lungo la via Egnatia fino a Tessalonica. Paolo vi giunse nel 49 proveniente, come noi, da Filippi, in compagnia di Sila e Timoteo. Da qui il Vangelo si diffuse per tutto il litorale e verso le isole dell’Egeo. Comunità generosa, quella di Tessalonica, al suo interno come verso i cristiani dell’intera regione. Il poeta di Tessalonica, Antipatro (50 a.C.-25 d.C.), scriveva che la sua città è celebre come: “madre di tutta la Macedonia”. Ancora oggi conserva l’appellativo tradizionale di “madre dei poveri”. A questa Chiesa Paolo indirizza il più antico documento del Nuovo Testamento.
A Salonicco, la Tessalinoca di oggi, seconda della Grecia, visitiamo il foro romano, riemerso dagli scavi otto anni fa, unica pallida idea di Paolo e della comunità dei Tessalonicesi. Seguendo Paolo, eccoci a Berea, dove l’apostolo fu accolto con grande interesse. Tracce del suo passaggio, nessuna. La Chiesa ortodossa ha costruito un bel monumento in sua memoria, denominato ”Tribuna dell’apostolo Paolo”, sul lungo dove si suppone che egli abbia proclamato il Vangelo. Lì celebriamo la messa.
Attraversiamo la Tessaglia e saliamo sulle montagne che si stendono a perdita d’occhio. Giungiamo sul Parnaso, dove i greci venivano per interrogare l’oracolo di Delfi, fino a quando, siamo nel 300, la sacerdotessa annunciò che la nuova religione (il cristianesimo) interferiva in maniera troppo forte sulle sue frequenze e che da allora avrebbe taciuto per sempre: fu la fine di Delfi. Nel suo viaggio lungo la Grecia, Paolo aveva trovato così tanti dèi, da rimanere impressionato se non turbato. Lasciamo il monte Parnaso e le cime alpestri per scendere verso il mare, d’un azzurro inteso.
Siamo nella grande Atene, al tempo di Paolo la capitale della cultura. L’Apostolo tentò di allinearsi con l’ambiente, adottando lo stile di un predicatore colto, che conosce i filosofi, cita i poeti, ne utilizza il linguaggio e i temi, con quell’apertura positiva ai valori dell’uomo di cui scriverà ai cristiani di Filippi: “… tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri” (4, 8). Per lui non c’è conflitto tra il Vangelo e i valori positivi delle ricerche dell’uomo.
Siamo subito all’areopago, sulla collina di Marte, ai piedi dell’acropoli di Atene. Leggiamo il discorso, lì pronunciato da Paolo, e rinnovato la nostra fede nella risurrezione, pazzia per i greci di allora. Da qui poteva vedere in alto i propilei e in basso il tempio di Nettuno, quello di Zeus Olimpio… Attorniato da templi delle più diverse divinità dava volto al Dio unico e vero…
Da Atena a Corinto, seguendo l’ultima tappa del nostro itinerario. Un viaggio che per Paolo fu pieno di amarezza, affrontato con animo trepidante (1 Cor 2, 3). Gli ateniesi avevano fraintesero la sua predicazione e lo avevano… considerato uno stolto. La cultura greca sembra impermeabile al Vangelo. Era l’autunno del 51.
Dopo una breve sosta all’istmo che congiunge i mari Egeo e Ionio, tagliato nella roccia viva, lungo poco più di sei chilometri, la visita all’antica Corinto, ai piedi di una montagna rocciosa e solitaria. La nuova Corinto, ricostruita dopo un terremoto del 1800, è più lontana, proprio sulla sponda del mare Egeo. Sostiamo al Bema, la tribuna al centro dell’agorà, dove probabilmente Paolo è stato condotto dai giudei, alla presenta di Gallione.
A Corinto, dove rimase un anno e mezzo, Paolo trovò Aquila e Priscilla, tessitori, e si mise a lavorare con loro. Anche a Filippi aveva incontrato Lidia, una commerciante di porpora, e ad Efeso tintori e mercanti di lana. Durante i suoi viaggi, Paolo si metterà spontaneamente in relazione con artigiani e mercanti di prodotti tessili e, nelle le sue lunghe soste, vorrà a tutti i costi provvedere al proprio sostentamento, fabbricando tende, il mestiere che ha imparato in seno alla sua famiglia, manifestando la massima stima per il lavoro manuale che esercitò come operaio salariato. Vorrà a tutti i costi guadagnarsi di che vivere, per non essere a carico delle comunità.
Il nostro viaggio si conclude qui, con le parole che Paolo indirizzò a questa Chiesa e che continua a ripetere oggi quale magna carta del cristianesimo: “Se parlassi le lingue, se avessi il dono della profezia, se dessi tutte le mie sostanze, ma non avessi la carità tutto sarebbe inutile… La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si vanta… Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine…” (cf. 1 Cor 13).