Con noi non si “tratta”
Dieci anni di impegno per le donne prostituite. Le superiori maggiori a fianco delle vittime.
Come mai da certi Paesi è più facile arrivare illegalmente in Italia che per vie legali? Il problema della prostituzione è solo quello di allontanare certe scene dalle nostre strade? Perché anche da parte di tante donne italiane c’è stata quasi una “rimozione” del fenomeno e nessuno si è impegnato per affrontarlo? È tempo che anche gli uomini si alzino in piedi e facciano qualcosa. Sono solo alcune delle provocazioni emerse durante un convegno svolto presso la sede dell’Usmi (Unione superiori maggiori d’Italia) in occasione del decimo anniversario della nascita dell’ufficio “Tratta donne e minori”.
Donne agguerrite. È questa l’immagine che si ha al primo impatto con la sala gremita di suore. L’immaginario collettivo sulle religiose, spesso pensate come pie donne, viene in questa, come d’altronde in tante altre occasioni, smentito alla grande quando ci si imbatte ad esempio in suor Eugenia Bonetti, iniziatrice e attuale responsabile dell’ufficio, e in altre 250 religiose di 75 congregazioni che lavorano in 110 progetti in Italia per il recupero delle donne vittime di tratta.
Un piccolo flash storico. Dall’inizio degli anni Novanta le congregazioni religiose femminili, insieme alle Caritas diocesane e a diversi gruppi di volontariato, sono state tra le prime in Italia ad intercettare il fenomeno della tratta di donne per lo sfruttamento sessuale e a offrire soluzioni alternative alla strada. Dal 2000, appunto, esiste un ufficio all’interno dell’Usmi che, anno dopo anno, ha messo in piedi, tra l’altro, una vera e propria rete che ha valicato ben presto i confini dell’Italia e avviato rapporti di collaborazione a livello internazionale.
I campi di azione nella lotta contro le nuove schiavitù, come sono definite quelle derivanti dallo sfruttamento sessuale, sono molteplici: dalle unità di strada, dove avviene il primo contatto con le vittime, ai centri di ascolto. Ci sono poi le comunità di prima e seconda accoglienza spesso realizzate nelle strutture messe a disposizione dalle stesse religiose, dove le donne, fuggendo dagli sfruttatori, possano seguire programmi di reintegrazione umana, sociale e spirituale e dove ricevere anche una formazione professionale per un inserimento lavorativo.
Sono solo titoli, ognuno dei quali meriterebbe un approfondimento a sé, con pagine e pagine di tanta vita e poca teoria. Storie di vite messe in serio pericolo, come quelle di molte religiose impegnate sul campo; storie di schiavitù e di redenzione, come le tante donne a cui era stata tolta ogni dignità. Ne racconta alcune un libro scritto da Anna Pozzi e da suor Eugenia (San Paolo). Il titolo è eloquente: Schiave. Ed il sottotitolo pure: trafficate, vendute, prostituite, usate, gettate. Donne. La disperazione e la speranza, la tragedia umana e il riscatto, in una meravigliosa sintesi. Un pugno allo stomaco che non può lasciare indifferenti di fronte alla brutalità umana che rasenta quella animale, anzi la supera in alcuni casi. In epoca di “dossieraggi” questo sì che è da leggere. Anche dalla denuncia passa infatti l’impegno contro la tratta.
Qualcuno potrebbe chiedersi se questo sia un affare solo di suore. Assolutamente no. La collaborazione col mondo cosiddetto laico è all’ordine del giorno. Chiedetelo a Silvia Costa, parlamentare europeo che lavora a braccetto con suor Eugenia e compagnia: se non fosse per il vestito, sarebbe difficile fare distinzioni, come è giusto che sia per un problema che non può avere connotazioni di partito o di credo religioso. Intervenendo al convegno, la Costa racconta con grande passione il percorso comune oramai consolidato e spiega come sia importante, anche per arrivare ad una proposta di legge, quale ad esempio la prossima “Direttiva europea sulla tutela delle vittime di tratta”, fare tesoro dell’esperienza di chi lavora sul campo. «Si capisce subito se un’idea scaturisce dalla vita o nasce da una teoria», ci spiega la parlamentare.
Un’indicazione che può essere rilanciata anche su altri fronti.
Schiave
Flash dal libro sulle vittime della tratta.
«I clienti mi guardano, mi scelgono, mi pagano. Dicono che sono bella. E pagano bene. Poi mi spogliano dei miei vestiti e di quel po’ di dignità che mi resta. E a cui mi aggrappo per sopravvivere». (Ecaterina, rumena).
«Qualche sera fa, sono salita sull’auto di un cliente. Dietro c’era il seggiolino per i bambini e alcuni giocattoli. Mi sono venute le lacrime agli occhi. Pensavo al mio bimbo che avevo dovuto lasciare alla madam. Lui mi ha detto di darmi da fare, perché era di fretta». (Precious, nigeriana).